21 maggio 2018

Autotutela sostitutiva in pendenza di giudizio

Autore: Giovambattista Palumbo
L'esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicché, rimosso con effetto "ex tunc" l'atto di accertamento illegittimo od infondato, l'Amministrazione finanziaria conserva la potestà impositiva, incontrando i soli limiti del divieto od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull'atto viziato, del decorso del termine decadenziale, del diritto di difesa del contribuente e del divieto di doppia imposizione.

Il caso - La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 11510 dell’11/05/2018, ha chiarito quali sono i termini in presenza dei quali l’Ufficio può procedere ad autotutela sostitutiva di un atto illegittimo, anche in pendenza di giudizio.

Nella specie, l'Agenzia delle Entrate notificava al contribuente un avviso di accertamento, diretto a rettificare il suo reddito di partecipazione in una società.

Successivamente, però l’Agenzia delle Entrate notificava un nuovo avviso, che costituiva l'esatta riproduzione del precedente, annullato in autotutela perché non aveva rispettato i termini previsti dall'art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente.

Il contribuente ricorreva avanti la Commissione Tributaria Provinciale, che accoglieva il ricorso con decisione poi confermata dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale respingeva l'appello dell'Agenzia delle Entrate, rilevando che l'autotutela elimina definitivamente un atto e non permette di sostituirlo con un altro.

L'Amministrazione finanziaria proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, tra le altre, violazione dell'art. 2 quater del D.L. n. 564 del 1994 (convertito con modificazioni dalla legge n. 656 del 1994) e del D.M. n. 37 del 1997, in combinato disposto con l'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, asserendo che l'adozione di un avviso di accertamento non consuma il potere dell'Amministrazione di esercitare la funzione impositiva.

La decisione – Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato.

Affermano infatti i giudici di legittimità che il potere della pubblica amministrazione di provvedere in via di autotutela all'annullamento "d'ufficio", o alla "revoca", anche in pendenza di giudizio, degli atti illegittimi od infondati è espressamente riconosciuto dall'art. 2 quater, comma 1, del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modifiche, in legge 30 novembre 1994, n. 656 e la permanenza in capo alla P.A. del potere impositivo consente, in ogni caso, alla stessa l'obbligo del positivo esercizio di tale potere, con l'emissione di un nuovo atto impositivo "sostitutivo" del precedente.

L'esercizio del potere di autotutela non implica quindi consumazione del potere impositivo, sicché, rimosso con effetto "ex tunc" l'atto di accertamento illegittimo od infondato, l'Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad esercitare - nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto - la potestà impositiva, ove ne sussistano i presupposti, incontrando i soli limiti del divieto od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull'atto viziato, del decorso del termine decadenziale fissato per l'accertamento e per la notifica dei relativi atti, del diritto di difesa del contribuente e del divieto di doppia imposizione.

E questo anche considerato che l'art. 43, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui consente modificazioni dell'avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell'ufficio, non opera con riguardo ad un avviso annullato in sede di autotutela, alla cui rinnovazione l'Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che le compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge.

Il potere di accertamento integrativo, o modificativo in aumento, ex art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, afferma la Corte, è dunque diverso, sia strutturalmente sia funzionalmente, dal potere di autotutela.

L'esercizio del potere di autotutela, infatti, può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico del precedente atto, o alla sua eliminazione e alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato, laddove, nel caso di specie, l'Ufficio era legittimato ad emettere un secondo avviso di accertamento, sostitutivo del primo, non essendo contestato che non erano trascorsi i termini di decadenza e non era intervenuto un giudicato di merito in relazione al primo avviso poi annullato.

Né, concludono i giudici, vi era stata alcuna violazione del diritto di difesa o elusione del divieto di doppia imposizione, in quanto l’Agenzia si era soltanto limitata a sostituire un avviso non rispettoso dei termini previsti dall'art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente con un avviso che tali termini rispettava, risolvendosi pertanto la condotta illegittima imputata, al più, in rilievi puramente formali, anche considerato che ex art. 10 dello Statuto del contribuente «I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede», da interpretarsi in maniera costituzionalmente orientata alla luce dei principi espressi dagli artt. 3 (ragionevolezza), nonché alla luce del principio di solidarietà economica e sociale, di cui all'art. 2 Cost., che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009), non potendo la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o pubblica amministrazione, lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente in negativo sulla sua sfera giuridica.

Né la sentenza impugnata, né il contribuente avevano del resto prospettato le ragioni sostanziali per le quali l'annullamento in autotutela dell'avviso di accertamento, irrispettoso dei termini di cui all'art. 12, comma 7, cit. e il suo rinnovo in modo da rispettare tali termini, avrebbe comportato una lesione del diritto all'effettività della tutela giurisdizionale ed al giusto processo, o al principio che l'imposizione fiscale debba essere parametrata all'effettiva capacità contributiva del contribuente, laddove la possibilità da parte del contribuente di denunciare vizi fondati sulla pretesa violazione di norme procedimentali non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività amministrativa, ma garantisce solo l'eliminazione dell'eventuale pregiudizio da lui subito, in conseguenza della denunciata violazione di norme che siano espressione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

Conclusioni - Laddove l’Amministrazione emetta un nuovo avviso di accertamento, teso solo a modificare o correggere elementi formali, non si applica l’art.43 del d.P.R. 600/73 (che concerne gli avvisi integrativi e modificativi, per i quali vale il presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi di fatto prima ignorati), valendo invece il principio della discrezionale potestà dell'Amministrazione di ricorrere all'istituto dell'autotutela (nel caso di specie sostitutiva), ai fini del riesame di un non corretto esercizio della potestà impositiva.

All'eliminazione del provvedimento erroneamente formato segue dunque legittimamente, e anzi come atto dovuto, l'adozione del provvedimento ritenuto conforme al precetto normativo, che sostituisce il precedente.

In ogni caso occorre avere ben presente la differenza tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo ex art. 43, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che può essere emesso solo in presenza di sopravvenute conoscenze.

Nell’ipotesi di integrazione o modificazione si esercita, infatti, un ulteriore potere accertativo, il quale, in quanto tale, richiede necessariamente la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
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