25 settembre 2018

Bancarotta fraudolenta: il reato si consuma con la dichiarazione di fallimento

Autore: Redazione Fiscal Focus
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 40477, del 12 settembre 2018, ha affermato che nel reato di bancarotta fraudolenta la dichiarazione di fallimento è un elemento costitutivo del reato stesso e non una condizione oggettiva di punibilità: ne deriva che il reato si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione di beni aziendali, sia dichiarato fallito.

La bancarotta fraudolenta - Gli art. 216 e 217 della L.F. (R.D. n. 267 del 1942) individuano due distinte figure di bancarotta, ovvero, rispettivamente, la bancarotta fraudolenta e la bancarotta semplice. La bancarotta fraudolenta, a sua volta, viene, di norma, distinta in bancarotta fraudolenta patrimoniale, nelle sue diverse configurazioni, bancarotta fraudolenta preferenziale e in bancarotta fraudolenta documentale. Anche la bancarotta semplice viene distinta in bancarotta patrimoniale e documentale. Più in particolare, l'art. 216 L.F. co. 1 n. 2, punisce con la reclusione da tre a dieci anni la condotta dell'imprenditore dichiarato fallito che ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La sentenza di condanna - Con la sentenza impugnata la Corte di Appello, confermava riformulandola, la sentenza emessa dal Tribunale, con la quale un amministratore era stato condannato a pena di giustizia in relazione al reato di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, nn. 1 e 2, comma 3, art. 223, comma 1, perché, in concorso con altri, nella qualità di legale rappresentante di una SRL, cedeva a favore di una società in nome collettivo, a titolo gratuito, l'avviamento; erano stato , inoltre, cedute le giacenze di magazzino, gli stampi e l'indebito uso degli stessi per la produzione di modelli coperti da brevetto detenuto dalla SRL , del valore complessivo di Euro 500.000,00.

Tali beni erano stati ceduti ad un importo molto inferiore al loro valore con distrazione di somme perché non vi era alcuna relativa annotazione in contabilità; inoltre erano esposti in contabilità crediti ancora da riscuotere, quando invece erano stati incassati, nonché erano state fatte registrazioni di movimentazioni contabili inattendibili per mancanza di corrispondenza tra incassi e pagamenti e storno di credito e di debiti, omettendo:
  • di procedere con sequenza progressiva nelle registrazioni su registri acquisti e vendite e sul libro giornale;
  • di indicare nel conto finanziamento dei soci le movimentazioni relative a ciascun socio;
  • di indicare nei conti di mastro e saldi di apertura e di chiusura;
  • di aggiornare il libro beni ammortizzabili ed omettendo di indicare la descrizione dei beni e dei dati indispensabili per la identificazione del bene e del fornitore, tenendo i libri e le altre scritture contabili della società in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Nel ricorso in Cassazione, tramite il suo difensore, l’amministratore contesta la sentenza della Corte territoriale perché ha ritenuto la sussistenza di una condotta distrattiva nei confronti di una s.n.c. , a ciò preordinatamente costituita, benché questa avesse un diverso oggetto sociale , occupandosi di triturazione di polipropilene e non di produzione di sedie per ufficio come la SRL fallita ; contesta, inoltre, che la sentenza dei giudici del merito avrebbe affermato che la crisi di liquidità della SRL rappresenterebbe semplicemente un dato tautologico, non essendo sufficiente la semplice cointeressenza tra le due società a dimostrare il depauperamento.

L’analisi della Cassazione - Nell’analizzare il ricorso, la Cassazione evidenzia che la Corte di merito, ripercorrendo le argomentazioni del primo giudice, ha osservato come l'amministratore avesse una profonda conoscenza dello stato economico della società, oltre ad essere colui che prendeva le decisioni di tipo gestionale, che, data la loro natura, erano strettamente ricollegabili alla modalità confusa di tenuta della contabilità. Anche in riferimento alla bancarotta documentale, quindi, i motivi sono reiterativi del gravame, oltre che evocativi di una vicenda di cui la Cassazione, in quanto giudice della legittimità, non può in alcun modo conoscere e che, in ogni caso, è semplicemente evocata, prescindendo da qualsivoglia ricorso al principio di autosufficienza del ricorso.

Quanto alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato, piuttosto che come condizione obiettiva di punibilità, va detto, che la Cassazione aderisce all'orientamento secondo cui, in tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento è un elemento costitutivo del reato e non una condizione oggettiva di punibilità; pertanto, il reato si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione dei beni aziendali, sia dichiarato fallito.

Come noto, un diverso, più recente, orientamento giurisprudenziale ha affermato, invece, che la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, costituisce condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l'area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali alle condotte del debitore, di per sé offensive degli interessi dei creditori in quanto espongono a pericolo la garanzia di soddisfacimento delle loro ragioni, segue la dichiarazione di fallimento.

La Cassazione ha affermato che "Il momento consumativo dei reati di bancarotta si perfeziona all'atto della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, ancorché la condotta, commissiva od omissiva, si sia esaurita anteriormente, in quanto la sentenza di fallimento rappresenta elemento costitutivo del reato di bancarotta, e non condizione oggettiva di punibilità. Ne consegue che, in materia di applicazione o di revoca dell'indulto, è alla data della sentenza dichiarativa di fallimento che occorre far riferimento, essendo del tutto ininfluente che la condotta sia cessata in epoca anteriore" (cfr. Cassazione sentenza n. 2392 del 11/04/1996).

La medesima pronuncia, inoltre, aveva affermato come il reato non si esaurisca unicamente nella condotta umana imposta o vietata, comprendendo, altresì, tutti gli elementi essenziali che compongono la fattispecie, comprese le condizioni obiettive non facenti parte del precetto; ne consegue che il reato stesso si consuma allorquando tutti i predetti elementi vengono realizzati, nel luogo e nel momento in cui si realizza l'ultima componente.
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