23 aprile 2018

Cassazione. Modalità di impugnazione del diniego di autotutela

Autore: Giovambattista Palumbo
Il ricorso avverso il diniego di autotutela opposto dal Fisco è ammissibile, ma il sindacato può esercitarsi, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria.

Il caso - La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 7616 del 28/03/2018, ha chiarito quali sono i presupposti e le modalità per poter impugnare un diniego di autotutela.

Nel caso di specie, la CTR aveva rigettato l'appello del contribuente contro la sentenza che aveva dichiarato inammissibile il ricorso contro il diniego opposto dall'Amministrazione su un’istanza di autotutela.

In particolare, il contribuente aveva impugnato il diniego opposto dall'Agenzia delle Entrate rispetto all'istanza di annullamento di due avvisi di accertamento ai fini Iva, divenuti definitivi per mancata impugnazione.

Con l'istanza di autotutela il contribuente intendeva far valere l'esistenza di un giudicato (fra contribuente ed Agenzia delle Dogane) incompatibile con il contenuto degli atti impositivi divenuti definitivi.

Più precisamente tali atti erano fondati sulla qualificazione di alcune cessioni poste in essere dal contribuente come "interne", laddove invece la sentenza emessa contro l'Agenzia delle Dogane aveva qualificato quelle stesse operazioni come cessioni all'esportazione esenti.

La decisione – Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era infondato, essendo orientamento pacifico di legittimità quello secondo cui il ricorso avverso il diniego di autotutela opposto dal Fisco è certamente ammissibile, ma il sindacato può esercitarsi, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria.

Pertanto, il contribuente non poteva limitarsi a dedurre eventuali vizi dell'atto, la cui deduzione doveva ritenersi definitivamente preclusa a seguito della sua intervenuta definitività, ma doveva semmai prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto, non essendo consentito al giudice tributario di invadere la sfera discrezionale esercitata dalla Pubblica Amministrazione nell'esercizio del potere di annullamento dell'atto amministrativo in autotutela, pena il superamento dei limiti esterni della giurisdizione.

Osservazioni - Il ricorrente riteneva che l'orientamento della giurisprudenza di legittimità non fosse in realtà pertinente alla causa in discussione, perché l'autotutela non era stata richiesta per far valere un vizio originario dell'atto impositivo, non fatto valere mediante la sua tempestiva impugnazione, ma sulla base di un evento sopravvenuto, costituito dal passaggio in giudicato di una decisione che aveva dato della fattispecie una ricostruzione incompatibile con quella assunta nell'atto impositivo.

Tale impostazione, tuttavia, secondo la Corte, era frutto di un equivoco, essendo evidente che il vizio del provvedimento è pur sempre quello originario, riguardante la diversa qualificazione della fattispecie, vizio che ben poteva farsi valere mediante la tempestiva impugnazione in sede giudiziale del provvedimento.

Né erano pertinenti i richiami alla possibile efficacia del giudicato tributario oltre i limiti del caso deciso, anche considerato che una cosa è sostenere che il giudicato formatosi con riferimento a un certo atto impositivo possa avere efficacia preclusiva nel giudizio in corso riguardante un atto diverso, qualora vi sia comunanza e immutabilità dei presupposti di fatto, e altra cosa è sostenere che il giudicato vincoli l'Amministrazione (peraltro anche diversa rispetto a quella nei cui confronti si era formato il giudicato) a revocare i propri atti definitivi fondati su presupposti di fatti accertati in modo diverso in sede giudiziale.

Conclusioni – La Corte di Cassazione, già con la sentenza n. 22253 del 30.10.2015, evidenziava che non può escludersi che, trattandosi di attività procedimentalizzata, anche il provvedimento emesso in autotutela possa essere affetto dai vizi di legittimità propri degli atti amministrativi, non essendovi ragioni per precludere al privato la possibilità di esperire i mezzi di tutela per far valere tali vizi di legittimità, ma, da un lato, il vizio di violazione di legge e quello di eccesso di potere non possono evidentemente sovrapporsi ai vizi di validità o di merito fatti valere con i motivi del ricorso introduttivo proposto avverso l'atto impositivo (ove tempestivamente impugnato), venendosi altrimenti a determinare un’inammissibile duplicazione di tutele, in palese contrasto con i principi di efficienza dell'amministrazione della giustizia, di speditezza e ragionevole durata dei processi e di economia dei giudizi e dall'altro l’impugnazione del diniego di autotutela, espresso o tacito, non si sottrae comunque alla condizione necessaria dell'interesse ad agire, che non può che essere riferito all'interesse sostanziale che il privato intende "indirettamente" soddisfare attraverso il provvedimento che chiede di adottare alla PA nell'esercizio dei poteri di autotutela.

Il senso, dunque, su cui la Corte ha ormai orientato il suo indirizzo è che contro il diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria, dato che, diversamente, attraverso l’impugnazione del diniego di esercizio di autotutela si consentirebbe l'aggiramento del termine di decadenza previsto, a garanzia del principio di certezza del diritto e di tendenziale stabilità dei rapporti giuridici, per la impugnazione degli atti impositivi, che rimarrebbero quindi esposti a riesame a tempo indeterminato tutte le volte che il contribuente, pur divenuto definitivo l'avviso di accertamento o rettifica, presenti istanza di revisione in autotutela.
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