In seguito alla chiusura di un fallimento, se il deposito in cancelleria è avvenuto nel 2013 e la pubblicità presso il Registro delle Imprese ha data 2019, l’emissione della nota di variazione, di una fattura precedentemente emessa, dipende dalla data del deposito in cancelleria: questo è quanto emerso dall’Amministrazione Finanziaria attraverso la pubblicazione della
Risposta n. 438 sul proprio sito Istituzionale.
Altresì, il reclamo non può più proporsi decorso il termine perentorio di
novanta giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria.
In generale, se in seguito all’emissione di una fattura, si dovessero verificare situazioni che riducono l’ammontare, in tutto o in parte, in base a determinati eventi di cui all’art. 26, comma 2 del Decreto IVA, si può esercitare il diritto alla variazione ma quest’ultimo dipende da termini perentori ben definiti.
Nel caso di specie, il diritto alla variazione è subordinato alla "infruttuosità" delle procedure concorsuali o esecutive e suddetta condizione si realizza alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale ovvero, in assenza, alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento.
Nell’evento prospettato dall’istante, la procedura fallimentare non è contraddistinta dal alcun piano di riparto e dunque, a parere dell’Agenzia delle Entrate, viene considerata perentoria - per effettuare la nota di variazione - la data di deposito della conclusione della procedura fallimentare presso la cancelleria, annotata nell’anno 2013.
In conclusione, osservato che la chiusura del fallimento è stata dichiarata in data 2013, ma la sua annotazione presso il registro delle imprese è stata eseguita solamente in data 2019, viene altresì precisato che il diritto alla detrazione poteva essere esercitato, ratione temporis, nonché con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.