L’Agenzia delle Entrate, ha pubblicato il 29 maggio 2019, i Principi di diritto n.
15,
16,
17 e
18, fornendo chiarimenti su diversi aspetti relativi, rispettivamente: alla corretta determinazione del credito d’imposta estero; ai criteri di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata; alla tassazione di utili di fonte estera; al trattamento degli utili provenienti da una stabile organizzazione di una società partecipata non residente.
Principio di diritto n. 15
È stato chiesto un parere dall’interpellante Alfa, in merito alla corretta determinazione del credito d’imposta estero in base alle disposizioni contenute nelle Convenzioni internazionali, relativamente ad un flusso di
royalties, per le quali lo Stato di localizzazione del licenziatario (nella fattispecie gli Stati Uniti), applica una ritenuta in uscita e l’Italia, in qualità di Stato della residenza del licenziante, tassa in misura agevolata per effetto dell’esercizio dell’opzione per il regime cosiddetto
“patent box”.
Nel dettaglio, Alfa chiede se, la stessa, debba calcolare il credito d’imposta per redditi prodotti all’estero in base alle disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni Italia - Stati Uniti, senza applicare la limitazione di cui all’articolo 165, comma 10, del TUIR, la quale prevede che
“nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.
Si ricorda che il metodo scelto dall’Italia e dagli Stati Uniti per eliminare la doppia imposizione giuridica, è quello del credito d’imposta, disciplinato dall’articolo 23, paragrafo 3, della Convenzione.
In virtù di tale principio,
“lo Stato della residenza determina le imposte sulla base del reddito complessivo del contribuente, che include il reddito prodotto nello Stato estero dove, in applicazione della Convenzione, lo stesso è stato già sottoposto a imposizione”.
Successivamente – come si legge nel Principio - lo Stato della residenza, concede una detrazione dalle imposte dovute dal contribuente per le imposte già pagate nello Stato estero.
In ambito nazionale, il legislatore ha optato per il contrasto del fenomeno della doppia imposizione internazionale, riconoscendo un credito d’imposta da portare a riduzione delle imposte sui redditi dovute in Italia. Secondo quanto disposto dall’articolo 165, comma 1, del TUIR, infatti, il credito d’imposta per redditi prodotti all’estero, è riconosciuto solo quando venga rispettata la condizione di concorso di tali redditi alla formazione del reddito complessivo dichiarato in Italia (nei limiti della quota di imposta italiana, corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo).
Pertanto - specifica il Principio - il requisito di “inclusione” del reddito estero nel reddito imponibile in Italia, di cui all’articolo 23, paragrafo 3, della Convenzione Italia – Stati Uniti (e all’articolo 23 del Commentario al Modello OCSE), coincide con il requisito di concorso del reddito prodotto all’estero al reddito complessivo, previsto dall’articolo 165, comma 1, del TUIR di cui, il successivo comma 10, costituisce disposizione attuativa.
Infine, la mancata “inclusione” del reddito in argomento nel reddito imponibile in Italia e, quindi, il non realizzarsi della condizione del concorso del reddito estero al reddito complessivo, comporta l’impossibilità di procedere alla stessa determinazione del credito d’imposta.
Principio di diritto n. 16
In tale Principio, si legge che, ai fini di quanto previsto dall’articolo 167, comma 4, del TUIR (nella versione in vigore fino all’11 gennaio 2019), la Circolare n. 35/E del 4 agosto 2016 aveva chiarito che si considerano speciali
“i regimi che concedono un trattamento agevolato strutturale, risolvendosi in un’imposizione inferiore alla metà di quella italiana”.
Sempre in detta Circolare, è previsto che, nell’ipotesi in cui il regime speciale sia fruito “parzialmente”, nel senso che sia rivolto solo a particolari aspetti dell’attività economica complessivamente svolta dal soggetto estero, occorre adottare
“un criterio di prevalenza che valorizzi l’attività risultante maggioritaria in termini di entità dei ricavi ordinari”.
Sul punto, come si evidenzia nel Principio, qualora la società partecipata non residente operi in un Paese che preveda un regime su base territoriale (che esenta da imposizione tutti i redditi di fonte estera), nel citato criterio di prevalenza saranno ricompresi tutti i ricavi relativi ai redditi di fonte estera, non assumendo alcuna rilevanza - si precisa - la circostanza che i redditi siano prodotti all’estero con o senza una stabile organizzazione.
Principio di diritto n. 17
Il comma 1007 della Legge di Bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017, n. 205), prevede che non si considerano provenienti da società residenti o localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, gli utili percepiti a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e maturati in periodi d’imposta precedenti nei quali le società partecipate erano residenti o localizzate in Stati o territori non inclusi nella black list, di cui al decreto del MEF del 21 novembre 2001.
Quanto sopra esposto, si applica anche per gli utili maturati in periodi successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, in Stati o territori non a regime privilegiato e, in seguito, percepiti, in periodi d’imposta in cui risultino integrate le condizioni di cui all’articolo 167, comma 4, del TUIR.
Tali disposizioni, come specifica il Principio, si applicano esclusivamente ai casi in cui, in presenza di distribuzione di utili pregressi, muti la qualificazione dello Stato di residenza della società partecipata, da Paese considerato a tassazione ordinaria a Paese a fiscalità privilegiata.
Non si applica, invece, nell’ipotesi inversa, ovvero nel caso in cui la maturazione degli utili è avvenuta in periodi d’imposta nei quali le società partecipate erano residenti o localizzate in Stati o territori inclusi nel D.M. 21 novembre 2001 e la percezione degli stessi avviene quando le predette società sono da ritenersi residenti o localizzate in Stati o territori non a regime fiscale privilegiato.
In tal caso, infatti, restano validi i chiarimenti forniti nella Circolare n. 35/E del 4 agosto 2016.
Principio di diritto n. 18
Secondo le Entrate, ai fini di quanto previsto dall’articolo 89, comma 3, primo periodo del TUIR, per ricostruire il corretto regime di tassazione degli utili distribuiti da una partecipata residente in un paese non considerato a regime fiscale privilegiato, con stabile organizzazione in un Paese a regime fiscale privilegiato, è necessario trattare in maniera autonoma gli utili prodotti dalla partecipata direttamente, rispetto a quelli prodotti dalla stabile organizzazione.
Come afferma il Principio in commento, si applicano i chiarimenti previsti dalla Risoluzione n. 144/E del 2017.
La suddetta valutazione autonoma, invece, non si effettua nell’ipotesi in cui - conclude il Principio - la partecipata sia qualificabile come entità residente in un Paese a regime fiscale privilegiato.
Ciò in quanto, in tal caso, tutti gli utili da essa prodotti si considerano derivanti da un’entità
“black list”, indipendentemente dal fatto che la stabile organizzazione sia localizzata o meno in un Paese a fiscalità privilegiata.