5 maggio 2018

Deducibili i crediti integralmente svalutati

Cassazione Tributaria, ordinanza depositata il 4 maggio 2018

Autore: Paola Mauro
L’avviso di accertamento a fini IRES e IRAP, emesso nei confronti della Banca che ha portato in deduzione crediti in sofferenza integralmente svalutati, è illegittimo. Lo ha stabilito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10685/2018.

Il giudizio nasce dall’impugnazione di un avviso di accertamento emesso nei confronti di una Banca e volto al recupero a tassazione delle svalutazioni integrali di crediti in sofferenza, ritenuti poste indeducibili dall’Agenzia delle Entrate.

L’atto impositivo è stato annullato dal giudice di primo grado e tale decisione ha trovato conferma da parte della Commissione Tributaria Provinciale del Piemonte. Quest’ultima ha ritenuto che la contribuente avesse legittimamente iscritto i crediti a conto economico, svalutandoli integralmente, senza invece imputarli a perdite su crediti, sul presupposto di una loro probabile, ma non ancora certa e definitiva inesigibilità.

L’Agenzia delle entrate, dal canto suo, ha sostenuto che la contribuente, appostando come svalutazione quella che, se correttamente inquadrata sul piano contabile, era in realtà una perdita, ha ricevuto un indebito vantaggio fiscale (inteso come risparmio d’imposta) consistente nella deducibilità integrale del credito senza ripercussioni sul fondo rischio generico e senza dover fornire la prova dell’esistenza di elementi certi e precisi comprovanti la perdita (art. 101, co. 5, TUIR).

Ebbene, la tesi dell’Amministrazione non ha convinto i Massimi giudici, che invece hanno condiviso l’assunto della sentenza impugnata secondo cui«è legittima l'imputazione a conto economico dei crediti integralmente svalutati che, prescindendo dal criterio quantitativo (in quanto, nella specie, la svalutazione dei crediti è del 100%, sicché essi sono iscritti in bilancio con valore pari a zero), poggi (esclusivamente) sulla riconosciuta sussistenza del rischio d'inesigibilità “ragionevolmente prevedibile”, ma “non ancora definitiva”».

Nella motivazione dell’ordinanza n. 10685/18 gli Ermellini affermano che non è persuasiva l’obiezione della ricorrente Agenzia secondo cui «l’integrale svalutazione del credito dovrebbe determinare lo stralcio della posta dal bilancio (ossia la sua cancellazione, come avviene, invece, per le perdite sui crediti), poiché, in tal caso, il credito non è venuto meno né dal punto di vista giuridico – in quanto la pretesa creditoria può essere fatta valere nei confronti del debitore inadempiente – né dal punto di vista economico. Il credito conserva un proprio valore, non è definitivamente perso, è suscettibile di “ripresa di valore”, per rivalutazione e per incasso, e può ancora essere soddisfatto tramite una procedura di recupero coattivo (nella specie, una parte dei crediti, già integralmente svalutati, è stata poi incassata)».

La sentenza impugnata, secondo la Suprema Corte, fa corretta applicazione del parametro della definitività o meno della perdita, quale presupposto della corretta imputazione dei crediti, e inoltre «si premura di sottolineare l’irrilevanza del “criterio quantitativo”, quale asserito (da parte dell’amministrazione erariale) discrimen delle due diverse voci contabili a confronto, rimarcando, opportunamente, che, in assenza di elementi chiari e precisi da cui inferire la definitiva inesigibilità del credito, è ben possibile e rispettoso dei principi di diritto civile, tributario, nonché corretto, sul piano contabile, che esso venga integralmente svalutato. Ne esce, in tal modo, ben tratteggiata la peculiare natura dei due eventi contabili, ossia il carattere temporaneo della svalutazione del credito e la (tendenziale) definitività ed assolutezza della perdita su crediti».

Alla luce di questi rilievi il ricorso erariale è stato respinto, ma i giudici di legittimità hanno comunque ritenuto congruo disporre la compensazione delle spese di lite.
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