24 marzo 2018

Dichiarazione fraudolenta per chi “gonfia” il prezzo

Cassazione Penale, sentenza depositata il 23 marzo 2018

Autore: Paola Mauro
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13747/2018, ha precisato che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti è integrato anche nel caso di sovrafatturazione “qualitativa” (ossia quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza fra realtà commerciale ed espressione documentale.

Alla luce di quanto sopra i Massimi giudici hanno confermato la penale responsabilità di un imprenditore siciliano che ha concordato un prezzo “gonfiato” per l’acquisto di un macchinario nuovo.

La Corte d’Appello di Palermo ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 2 D.lgs. n. 74/00, mentre la Difesa ha sostenuto la mancanza del dolo specifico di evasione sul rilievo che l’operazione non aveva creato alcun vantaggio fiscale. E ciò in quanto, a fronte di una sovrafatturazione per 100 mila euro del prezzo del macchinario aziendale nuovo, era avvenuta la compensazione con equivalente sovrafatturazione per la cessione di una macchina usata, data in permuta.

Investita dell’esame della vicenda, la Suprema Corte ha ricordato che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti sussiste sia nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione (ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), sia in quella di inesistenza relativa (ovvero quando l'operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) sia, infine, nel caso di sovrafatturazione "qualitativa" (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (Cass. pen. Sez. III n. 28352/2013).

Ciò posto, nel caso di specie, il Giudice di appello ha accertato che l’importo fittizio (euro 100 mila oltre IVA), una volta contabilizzato, è confluito nella dichiarazione annuale dei redditi per la quota di ammortamento pari a 12.500 euro per ciascuna annualità. La Corte territoriale ha altresì accertato che la sovrafatturazione era preordinata all’obiettivo finale dell’evasione delle imposte, a nulla rilevando il mancato conseguimento del fine, che, essendo descritto come dolo specifico, non incide sulla consumazione del reato. Parimenti, non incide sulla sussistenza del dolo l’eventuale presenza di finalità ulteriori che l’agente si prefissava di raggiungere (l’indebita percezione di erogazioni pubbliche), in quanto la norma non circoscrive l’intenzione del reo alla sola ed esclusiva finalità di “evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, che, quindi, può eventualmente concorrere con altre, sempre che, queste ultime, non siano perseguite in via esclusiva.

Ebbene, il ragionamento decisionale del Giudice di merito non ha potuto essere censurato dai Massimi giudici, essendo adeguatamente e logicamente motivato. Pertanto, il giudizio di responsabilità ha trovato definitiva conferma; e all’imputato non resta che pagare le spese processuali.
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