6 settembre 2018

Eredità: il chiamato risponde al Fisco solo in caso di accettazione

Autore: Giovambattista Palumbo
La chiamata all’eredità non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo a tal fine necessaria, da parte del chiamato, anche l'accettazione. Spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, l'onere di provare l'assunzione della qualità di erede.

Il caso – La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 17970 del 09/07/2018, ha chiarito qual è il momento giuridicamente rilevante ai fini della trasmissione delle obbligazioni tributarie del de cuius.
Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate, sulla scorta delle risultanze di una verifica fiscale, da cui emergeva che il contribuente, esercente l'attività di agente di commercio (informatore scientifico), aveva omesso di annotare le fatture emesse nei confronti dei propri clienti e di presentare le dichiarazioni reddituali per gli anni dal 1999 al 2005, emetteva un avviso di accertamento che notificava agli eredi del contribuente, nel frattempo deceduto.

Il ricorso avverso il predetto atto impositivo veniva accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale e l'appello, proposto dall'Ufficio, veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale, sul rilievo che le appellanti, non avendo accettato l'eredità, non potevano rispondere delle obbligazioni tributarie del de cuius.
Avverso tale statuizione l'Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 65 d.P.R. n. 600 del 1973, 7 e 36, comma 3, d.lgs. n. 346 del 1990 e 2697 cod. civ., e sostenendo che la CTR aveva errato ad escludere la responsabilità delle contribuenti per le obbligazioni tributarie del de cuius, essendo a tal fine sufficiente la chiamata all'eredità.

La decisione – Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.
I giudici di legittimità ricordano infatti che, secondo l'orientamento della Cassazione, la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione, oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c. (cfr., Cass. n. 6479/2002; n. 11634/1991; n. 1885/1988; 2489/1987; n. 4520/1984; n. 125/1983).

Spetta quindi a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", l'onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 2697 c.c., l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, e che consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita (cfr., Cass. n. 6479/2002; n. 2849/1992; n. 1885/1988; n. 2489/1987).
Peraltro l'onere di provare che vi sia stata, in concreto, l'accettazione della eredità non comporta una prova impossibile, in conseguenza della previsione, per detta accettazione, del termine di dieci anni e della forma espressa o tacita, in quanto l'art. 481 c.c. “consente a chiunque vi abbia interesse di acquisire in qualsiasi momento la certezza circa l'accettazione o meno della eredità da parte del chiamato" (Cass. n. 2489/1987).

Rispetto a questo principio sembrava fare eccezione la disciplina relativa all'imposta di successione, come prevista nell’art. 5, D.P.R. n. 637/1972, che stabiliva la rilevanza della mera chiamata all'eredità ai fini della individuazione del soggetto passivo (cfr. Cass. n. 11320/1995).
Ma tale eccezione è stata poi superata con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 346/1990, laddove, nonostante nell'art. 5 sia stata ripetuta la formula dell'art. 5, D.P.R. n. 637/1972 e nonostante l'art. 7, comma 4, esplicitamente equipari i chiamati agli eredi, stabilendo che "fino a quando l'eredità non è stata accettata, o non è stata accettata da tutti i chiamati, l'imposta è determinata considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato", è chiarito, all'art. 36, comma 3, che "fino a quando l'eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all'eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell'imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti".

Il senso del cambiamento, ricorda la Corte, è stato del resto chiaramente espresso anche dalla Circolare ministeriale n. 17 del 15 marzo 1991, nella quale, proprio commentando il citato art. 36, si afferma che "fino all'accettazione dell'eredità, chi non è in possesso di beni ereditari non deve rispondere dell'imposta e chi ne è possessore non deve risponderne oltre il limite del valore dei beni posseduti".
La disciplina di cui al D.Lgs n. 346/90, evidenzia la Cassazione, supera dunque le conseguenze della precedente legislazione, vigente la quale il chiamato all'eredità, per questo solo fatto, assumeva, ai fini dell'imposta di successione, la qualità di soggetto passivo, laddove comunque, anche nella vigenza del D.P.R. n. 637/1972, solo l'erede (cioè il chiamato all'eredità che abbia poi accettato) era l'obbligato in via definitiva al pagamento dell'imposta di successione, mentre il chiamato all'eredità poteva considerarsi responsabile dell'imposta solo in via provvisoria, come era possibile argomentare anche dalla disposizione di cui all'art. 47, comma 3, d.p.r. n. 637/1972, la quale prevedeva che, nell'ipotesi in cui fosse mutata la devoluzione dell'eredità, l'imposta pagata doveva essere rimborsata.
In conclusione, in caso di debiti del "de cuius", sia pure di natura tributaria, l'accettazione dell'eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l'obbligazione del chiamato all'eredità a rispondere dei debiti ereditari.

Ed è certo comunque che non può ritenersi obbligato a rispondere né dei debiti del de cuius, né dell'imposta di successione (nemmeno a titolo provvisorio) il chiamato che abbia rinunciato all'eredità ai sensi dell'art. 519 c.c. (come riconosciuto dalla stessa Amministrazione finanziaria, laddove, con la Risoluzione ministeriale 5 novembre 1980, afferma esplicitamente che "va ritenuta illegittima la notificazione degli atti dell'accertamento al chiamato all'eredità che abbia rinunciato all'eredità stessa non essendosi verificata fra i due soggetti - "de cuius" e "chiamato all'eredità" - quella confusione patrimoniale che fa sorgere in capo al secondo la legittimazione passiva per le obbligazioni riferibili al primo").

Conclusioni - In senso analogo alla decisione in commento si è espressa recentemente anche Cass. n. 8053 del 29/03/2017, affermando che «In ipotesi di debiti del de cuius di natura tributaria [...] 1 l'accettazione dell'eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l'obbligazione del chiamato all'eredità a risponderne. Non può ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all'eredità, ai sensi dell'art. 519 cod.civ.», precisando che «una eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere una accettazione implicita dell'eredità (art. 476 cod. civ.)», del cui onere probatorio è onerata l'Amministrazione finanziaria e che non può fondarsi sulla mera presentazione della denuncia di successione, che «non ha alcun rilievo ai fini dell'accettazione dell'eredità».
Si ricorda infine che colui che accetta l'eredità con beneficio d'inventario è erede, come stabilito dall'art. 490, primo comma, c.c., con l'unica differenza, rispetto all'accettazione pura e semplice, che il patrimonio del defunto è tenuto distinto da quello dell'erede.
L'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, quindi, non determina, di per sé, il venir meno della responsabilità patrimoniale dell'erede per i debiti, anche tributari, ma fa sorgere il diritto di questo a non rispondere ultra vires hereditatis, cioè al di là dei beni lasciati dal de cuius.
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