12 giugno 2018

Esecuzione esattoriale. La corte costituzionale allarga la tutela

Autore: Paola Mauro
Nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile.

È quanto ha stabilito la Corte costituzionale pronunciandosi, con la Sentenza n. 114/2018, sulla norma che finora ha limitato gli strumenti di tutela del contribuente-debitore contro gli atti di riscossione coattiva illegittimi.

I giudici costituzionali, in particolare, hanno rilevato che in tutte le ipotesi in cui sussiste la giurisdizione del giudice ordinario – perché la controversia si colloca a valle della giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del D.lgs. n. 546 del 1992 – e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva, c’è una carenza di tutela giurisdizionale perché l’art. 57 del D.P.R. n. 602 del 1973 non ammette siffatta opposizione innanzi al giudice dell’esecuzione e non sarebbe possibile il ricorso al giudice tributario perché carente di giurisdizione. Né questa mancanza di tutela giurisdizionale è colmabile con la possibilità dell’opposizione agli atti esecutivi laddove la contestazione della legittimità della riscossione non si limiti alla regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura. Una dilatazione dell’ambito di applicazione di tale rimedio processuale lascerebbe comunque un’ingiustificata limitazione di tutela giurisdizionale se non altro in ragione dell’esistenza di un termine di decadenza per la proponibilità dell’azione, che invece non è previsto in caso di opposizione all’esecuzione.

Insomma, per i giudici della Consulta, la pur marcata peculiarità dei crediti tributari, che può sì giovarsi di una disciplina di favore per l’amministrazione fiscale (da ultimo, C. cost. Sent. n. 90 del 2018), e che è a fondamento della speciale procedura di riscossione coattiva tributaria rispetto a quella ordinaria di espropriazione forzata, «non è tale da giustificare che, nelle ipotesi in cui il contribuente contesti il diritto di procedere a riscossione coattiva e sussista la giurisdizione del giudice ordinario, non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura della procedura di riscossione ed in termini meramente risarcitori. In conclusione quindi si ha che ‒ laddove la censura della parte assoggettata a riscossione esattoriale non radichi una controversia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario e quindi sussista la giurisdizione del giudice ordinario ‒ l’impossibilità di far valere innanzi al giudice dell’esecuzione l’illegittimità della riscossione mediante opposizione all’esecuzione, essendo ammessa soltanto l’opposizione con cui il contribuente contesti la mera regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura e non anche quella con cui egli contesti il diritto di procedere alla riscossione, confligge frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’art. 24 Cost. e nei confronti della pubblica amministrazione dall’art. 113 Cost., dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva».

Va pertanto affermata l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 602/73 limitatamente alla parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 cod. proc. civ.
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