Apparente riduzione della pressione sulle commissioni tributarie, ma è un effetto delle misure di contrasto al Covid-19. Le statistiche del contenzioso tributario relative al secondo trimestre 2020 segnano l’interruzione del trend di riduzione della litigiosità fiscale che si era ottenuta anche grazie al pieno dispiegarsi degli effetti dei provvedimenti deflattivi del contenzioso tributario. Mentre appare poco significativo il crollo delle controversie instaurate nel secondo trimestre 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno 2019 (-41,62%), proprio per effetto della legislazione emergenziale, preoccupa l’incremento delle controversie pendenti rispetto al trimestre precedente.
“Ciò dimostra la lentezza della giustizia tributaria nel risolvere le controversie pendenti, anche per l’assenza di un comportamento univoco nelle diverse sedi”, commenta Falcone. “In questi mesi abbiamo avuto la conferma che la giurisdizione tributaria viene ritenuta secondaria, basta ricordare l’infelice versione dell’articolo 83 del Cura Italia, poi corretto, ma anche la mancanza di disposizioni chiare e inderogabili sulla ripresa delle udienze”, continua il presidente. Nonostante il consiglio di presidenza della giustizia tributaria avesse dato indicazioni precise, esortando i presidenti delle commissioni a tenere udienze documentali mediante il deposito di memorie di trattazione, le singole commissioni tributarie si sono mosse in ordine sparso. Le note di trattazione scritta in alcuni casi sono state imposte, nonostante non vi fosse stata una espressa rinuncia alla pubblica udienza; in altri casi si è scelto il meccanismo del silenzio assenso, quindi in mancanza di espresso diniego l’udienza era convertita in documentale; in altri casi veniva concesso un termine per rinunciare all’udienza e in mancanza la causa veniva rinviata. A tacere di tutti i rinvii resi necessari dal fatto che nessuno dei funzionari della parte pubblica avrebbe partecipato all’udienza.
Sorprende che la giurisdizione tributaria abbia completamente trascurato la possibilità di tenere udienze di discussione in videoconferenza, nonostante questa possibilità fosse già prevista dall’articolo 16 comma 4 del d.l. 119/2018. Anzi, aggiunge Falcone “il decreto rilancio invece di semplificare ha complicato l’applicazione della norma, perché ha inserito una serie di attività amministrative, anche al livello di singola commissione, che limitano l’utilizzo dell’istituto, laddove in origine era stato pensato come una facoltà lasciata alle parti”.
“Qualora l’organizzazione delle commissioni non riuscisse a garantire la trattazione dei ricorsi sospesi, verrebbero annullati gli effetti positivi dei provvedimenti di deflazione del contenzioso e di definizione agevolata delle liti”, commenta il dott. Bizzarri nel ruolo di coordinatore del centro studi dell’associazione. Restano controversi, invece, i dati relativi alla durata media del processo, che in primo grado registra un miglioramento rispetto al biennio precedente, ma in grado di appello registra un peggioramento di 50 giorni rispetto al 2018 e di ben 134 rispetto al 2017 attestandosi a 906 giorni.
L’aumento della durata dell’appello è un problema ancora più grave se si pensa che, proprio in secondo grado, la percentuale di successo dei contribuenti aumenta e si attesta al 32% rispetto al 28% del primo grado; la quota di giudizi intermedi pesa in appello per il 9%. Ne consegue, rileva Falcone, “che all’esito dell’appello oltre il 40% degli atti impositivi impugnati risulta almeno parzialmente illegittimo”. I tributaristi auspicano che l’amministrazione acquisti consapevolezza della percentuale di illegittimità degli avvisi di accertamento per migliorare l’efficacia degli strumenti deflattivi del contenzioso. Condivisibile, a tal fine, l’interpretazione della circolare 19/E dell’8 agosto 2019 che riconosce un legame inscindibile tra l’attività di accertamento e la successiva attività contenziosa, quindi il rafforzamento degli strumenti deflattivi del contenzioso “dipende da un maggiore coordinamento tra l’attività di accertamento e l’attività di difesa in giudizio degli interessi dell’erario” aggiunge Falcone. In questa prospettiva la fase dell’accertamento con adesione non dovrebbe più essere limitata ad una sola valutazione quantitativa delle somme richieste, ma dovrebbe essere ampliata ad una valutazione in diritto sulla sostenibilità in giudizio delle pretese dell’amministrazione.
Il maggior numero di accordi raggiunti in adesione consentirebbe di liberare risorse sul reclamo-mediazione, che verrebbe investito dei soli casi più controversi e potrebbe vedere aumentata la soglia di accesso almeno ad euro 100.000. La considerazione unitaria della fase di accertamento e contenzioso rafforza la proposta dell’associazione di inserire anche i tributaristi qualificati e certificati tra i professionisti abilitati alla difesa tecnica nella giurisdizione tributaria. Non v’è che il tributarista qualificato e certificato che assiste il cliente fino alla fase dell’adesione, sia anche il professionista maggiormente preparato a difendere il cliente in giudizio, proprio perché ne ha condiviso le scelte imprenditoriali ed ha partecipato a tutto il procedimento di accertamento fin dalla fase istruttoria. “Indubbi sarebbero gli effetti deflattivi del contenzioso se i tributaristi qualificati e certificati fossero ammessi al patrocinio” chiarisce Falcone, tale scelta, aggiunge il presidente nazionale “alla luce delle diverse categorie di professionisti ammessi alla difesa tecnica nel processo tributario, sarebbe peraltro coerente con il test di proporzionalità introdotto dalla direttiva 2018/958”. E’ necessario insistere, infine, sulla necessità di creare una giustizia tributaria equa ed imparziale, a tal fine è necessario recidere ogni legame tra i giudici tributari ed il ministero dell’economia che oggi crea un corto circuito tra il giudicante ed la parte in causa.
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