In tema di ICI, ai fini della spettanza della detrazione e dell'applicazione dell'aliquota ridotta, l'unità immobiliare che non coincide con quella di residenza anagrafica del contribuente può essere riconosciuta come “abitazione principale” solo se costituisce la dimora abituale del nucleo familiare. Della prova è onerato chi chieda di usufruire del beneficio fiscale.
È quanto emerge dall’ordinanza n. 6847/2019 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, pubblicata l’8 marzo.
Il caso
Nel caso che ci occupa, è stato emesso un avviso di accertamento per parziale versamento dell'imposta ICI per un’annualità, riguardo a un immobile sito in Roma, per mancato riconoscimento dell'aliquota agevolata ed esclusione della detrazione.
Il soggetto destinatario dell’atto impositivo ha proposto ricorso in Commissione tributaria e ha eccepito l’illegittimità del recupero a tassazione poiché, pur mantenendo la residenza anagrafica in altro immobile in Ancona, l’alloggio di Roma era stato la sua dimora abituale, con la conseguenza che l’amministrazione capitolina gli avrebbe dovuto riconoscere l'applicazione dell'aliquota agevolata prevista per l'abitazione principale.
Ebbene, l’impugnazione è stata respinta tanto in primo grado quanto in appello. Ragion per cui il contribuente si è rivolto ai giudici di legittimità, ma senza successo.
Il ricorso in Cassazione
La C.T.R. per il Lazio ha ritenuto legittimo il recupero dell'imposta, posto che il contribuente non ha avuto la residenza anagrafica nell'immobile sito in Roma bensì nel Comune di Ancona e non ha fornito la prova contraria della dimora abituale in luogo diverso dalla residenza anagrafica.
Ricorrendo contro la decisione della Commissione regionale, il contribuente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 8, comma 2, D.lgs. n. 504 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., sul rilievo che l'automatica equiparazione tra dimora abituale e residenza anagrafica rappresenta una chiara violazione dell'art. 8 del D.lgs. n. 504 del 1992 basata su una lettura parziale e un’errata interpretazione delle norme regolamentari adottate dal Comune di Roma.
La Suprema Corte, dal canto suo, con l’ordinanza in esame, ha affermato «che la detrazione di cui all'art. 8, comma 2, D.Lgs. n.504 del 1992, che, com'è noto, dispone che "per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente", non è indissolubilmente legata alla residenza anagrafica, e ciò non è contraddetto, dalla modifica normativa apportata dall'art. 1, comma 173, L. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), secondo la quale al comma 2 dell'articolo 8, dopo le parole: "adibita ad abitazione principale del soggetto passivo" sono inserite le seguenti: "intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica", che si limita ad introdurre una presunzione relativa e non supera il concetto di abitazione principale fondato sul criterio della dimora abituale» .
La modifica, secondo i Massimi giudici, deve essere letta nel senso che, con effetto dall'annualità d'imposta 2007, si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per “l'abitazione principale”, prova che deve riguardare l'effettivo utilizzo dell'unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo familiare del contribuente (v., tra le altre, Cass. n. 14398/2010).
Nella specie, non risulta che tale presunzione sia stata superata da alcuna prova contraria fornita dal contribuente; sicché la C.T.R. capitolina ha correttamente ritenuto abitazione principale quella di residenza anagrafica (in Ancona), negando l’applicabilità dell’aliquota ridotta per l’unità immobiliare di Roma.
In conclusione, gli Ermellini hanno rigettato il ricorso addebitando al ricorrente le spese di lite.