21 dicembre 2018

Il 36-ter può sfociare nel penale

Autore: Gianfranco Antico
Come è noto, l'art. 36-ter, comma 2, del D.P.R. n. 600/73 prevede che gli uffici, senza pregiudizio dell'azione accertatrice a norma degli articoli 37 e seguenti, possano procedere entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, al controllo formale della stessa, provvedendo a:
  • escludere, in tutto o in parte, lo scomputo delle ritenute d'acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d'imposta, dalle comunicazioni di cui all'art. 20, comma 3, del D.P.R. n. 605/73, o dalle certificazioni richieste ai contribuenti ovvero delle ritenute risultanti in misura inferiore a quella indicata nelle dichiarazioni dei contribuenti stessi;
  • escludere, in tutto o in parte, le detrazioni d'imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi di cui all'art. 78, comma 25, della Legge n. 413/91;
  • escludere, in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi di cui sopra;
  • determinare i crediti d'imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti;
  • liquidare la maggiore imposta sul reddito delle persone fisiche e i maggiori contributi dovuti sull'ammontare complessivo dei redditi risultanti da più dichiarazioni o certificati di cui all'art. 1, comma 4, lett. d), presentati per lo stesso anno, dal medesimo contribuente;
  • correggere gli errori materiali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.

Per effetto dei commi 3 e 4, del medesimo art. 36 ter, del D.P.R. n. 600/73, il contribuente è invitato, preliminarmente, a fornire chiarimenti e a trasmettere l'eventuale documentazione in ordini ai dati indicati nella propria dichiarazione, rendendolo edotto dell'esito del controllo.

Tuttavia, anche in tale tipo di controllo, che riguarda spesso contribuenti non titolari di partita Iva, si possono determinare risvolti penali. Infatti, con la Sentenza n. 27392 dell'11 luglio 2012 la Corte di Cassazione ha confermato che le fatture mediche false, portate in detrazione, determinano il reato dichiarazione fraudolenta. In relazione al mezzo fraudolento di cui l'agente si avvale per l'indicazione di elementi passivi fittizi, l’art. 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000, si riferisce a "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" e l'art. 1, lett. a), dello stesso decreto legislativo, specifica che tale locuzione inerisce a quelle fatture o documenti che sono emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. Gli altri documenti che vengono in rilievo sono, dunque, quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture (documenti tipici fiscali previsti espressamente dall’art.21, del D.P.R. n. 633 del 1972). “Tali sono, ad esempio, oltre alle ricevute fiscali e simili, quei documenti da cui risultino spese deducibili dall'imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi su mutui, le schede carburanti etc. (documenti che attualmente non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici). Qualora le spese documentate siano deducibili dall'imposta, l’indicazione in dichiarazione di tali spese non effettuate o effettuate in misura inferiore integra la condotta del reato, per il fatto che si fanno apparire elementi passivi fittizi”. La falsità può riguardare il contenuto della fattura o del documento contabile rilevante, attestandosi che è stata eseguita una operazione in realtà non eseguita oppure che l'importo dell'operazione è superiore a quello reale, ma può cadere anche sull’indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l'operazione. A tale riguardo "soggetti diversi da quelli effettivi" sono quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all'operazione e sono invece indicati nel documento. Non vi è alcun fondamento razionale, tuttavia, prosegue la sentenza, nell'affermare che l'ipotesi non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo. Anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale.

Principio, peraltro, già enunciato nella Sentenza n. 46785 del 19 dicembre 2011 della Corte di Cassazione Penale, Sez. III, che ha ritenuto sussistente il reato di dichiarazione fraudolenta – art.2, del D.Lgs.n.74/2000 – nell’ipotesi in cui il contribuente indichi in dichiarazione, ai fini della detrazione, fatture mediche false. Anche in quel caso le condotte di frode fiscale oggetto di indagine risultavano commesse mediante la falsa dichiarazione di avere sostenuto spese mediche, per le quali spetta la detrazione IRPEF del 19%, con allegazione di fatture o documenti equipollenti materialmente falsi (apparentemente emessi da cliniche private). Per la Suprema Corte, appare evidente che gli elementi qualificanti del reato “ sono da un lato l'inesistenza della operazione economica, sia essa oggettiva o soggettiva, totale o parziale, dall'altro la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie". E’, quindi, “l'efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta l'elemento essenziale che qualifica tale fattispecie criminosa e la distingue da quella di cui all'art. 3 del medesimo decreto legislativo della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Nella struttura del reato cosi delineata non trova alcuna ragione di essere la distinzione tra falsità materiale e falsità ideologica derivante dagli artt.476 e ss. c.p., che è finalizzata ad inquadrare le possibili ipotesi di falsificazione di atti da parte del pubblico ufficiale o del privato in apposite fattispecie criminose”.
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