La Procura di Genova ha aperto un fascicolo d’indagine per presunta evasione fiscale dell’Iva da parte di Booking. L’”accusa” consiste nel fatto che Booking dovrebbe versare l’Iva per gli introiti da intermediazione. Il tema riguarda comunque, più in generale, tutto il settore della sharing economy.
A fine dicembre la Procura di Genova ha aperto un fascicolo d’indagine per presunta evasione fiscale dell’Iva da parte di Booking.
La svolta all’indagine sarebbe arrivata grazie ad una rogatoria all’Olanda, dove il gruppo Usa ha la sua sede in Europa, che ha permesso di poter accedere a documenti sul suo effettivo giro d’affari in Italia.
L’”accusa” consiste nel fatto che Booking dovrebbe versare l’Iva per gli introiti da intermediazione e invece non lo fa (così come anche Expedia ed Airbnb).
L’Agenzia delle Entrate ha infatti già da tempo chiarito, a seguito di una richiesta di Federalberghi, che l’Iva sulle commissioni dei portali online è sempre dovuta.
In sostanza, se chi affitta ha la partita Iva si dovrà fare carico del versamento in regime di inversione contabile, altrimenti deve essere il portale stesso ad identificarsi e ad emettere fattura con Iva italiana.
L’economia della collaborazione digitale o sharing economy promuove del resto lo sfruttamento delle risorse grazie a tutte quelle piattaforme che mettono in contatto le persone per affittare, condividere, scambiare, vendere beni, competenze, tempo, denaro, spazio.
I servizi che rientrano in questo perimetro possiedono, così, le seguenti caratteristiche:
- Promuovono lo sfruttamento delle risorse incoraggiando l’accesso invece della proprietà e il riuso invece dell’acquisto.
- L’azienda che li offre è una piattaforma abilitatrice; non eroga servizi o prodotti dall’alto verso il basso, ma agisce da abilitatrice, mettendo direttamente in contatto chi cerca con chi offre (modello “peer 2 peer”). Può offrire, inoltre, servizi di valore aggiunto in termini di organizzazione dell’ambiente in cui avvengono le interazioni senza però influenzare gli attori che in tale ambiente interagiscono.
- Gli asset che generano valore per le piattaforme (beni e competenze) appartengono alle persone e non alla compagnia, come avviene invece nelle aziende tradizionali.
In tale contesto, come visto, era arrivato il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, seppur solo nell’ambito di una risposta di consulenza giuridica a Federalberghi (e dunque con scarso valore vincolante).
L’Agenzia delle Entrate, in risposta ad un’istanza, aveva fornito infatti chiarimenti inerenti la correttezza delle procedure fiscali poste in essere da alcuni portali di prenotazione (piattaforme telematiche) che hanno sede in altri paesi UE, in relazione all’alloggio in strutture ricettive non gestite in forma imprenditoriale o in immobili privati per brevi periodi.
Federalberghi aveva del resto segnalato (ci voleva Federalberghi a segnalarlo?) che detti portali emettono fatture senza IVA italiana, applicando il meccanismo del “reverse charge” anche nei casi in cui la struttura ricettiva è priva di partita IVA.
La conseguenza era ed è dunque l’evasione totale dell’imposta, che non viene pagata né dal portale né dalla struttura.
L’Agenzia delle Entrate ha allora chiarito che l’IVA sulle commissioni pagate ai portali che operano in altri paesi UE è sempre dovuta.
Se la struttura ricettiva ha la partita IVA, come detto, essa si dovrà fare carico del versamento in regime di inversione contabile. Se la struttura non ha partita IVA, dovrà essere invece il portale ad identificarsi in Italia e ad emettere fattura con IVA italiana.
Al di là della specifica questione Iva, la risposta assume peraltro importanza determinante ai fini imposte dirette.
Uno scoglio asseritamente insormontabile all’ipotesi della ritenuta da parte della piattaforma da indentificarsi come sostituto di imposta sui redditi di coloro che affittano gli appartamenti era infatti la mancanza di una stabile organizzazione in Italia da parte delle piattaforme estere.
Eppure, ora che la stessa Agenzia delle Entrate ha indicato come necessaria l'identificazione diretta o nomina di un rappresentante fiscale per le piattaforme online che prestano servizi di intermediazione, si apre senz’altro la possibilità per le stesse piattaforme di occuparsi anche degli adempimenti dichiarativi e di versamento che esulano dal campo Iva.
L'individuazione di un rappresentante fiscale in Italia o l'identificazione diretta rende del resto la piattaforma un soggetto idoneo ad assolvere ogni altro adempimento fiscale, compresa l'applicazione di ritenute sui compensi corrisposti ai locatari degli immobili.
Questo almeno nel caso di portali esteri con sede in altro Stato UE (Airbnb, Tripadvisor, Expedia, ad esempio, hanno sede in USA) e cioè sicuramente, tra i più grossi:
- Booking.com B.V., con sede ad Amsterdam;
- Trivago in Germania.
E’ comunque un mondo molto variegato, con altre realtà minori, ma di peso, quali per esempio Homestay in Irlanda e Interhome in Svizzera (più altre in Spagna, in Francia, in Polonia etc.).
Insomma, un primo, importante, passo, che forse anzi meriterebbe qualcosa di più di una semplice interpretazione per consulenza giuridica dell’Agenzia delle Entrate.
E un primo passo da sfruttare per il recupero di gettito in misura veramente rilevante.
La Commissione europea, in un suo studio (Consumer Intelligence Series: The Sharing economy. Pwc 2015) ha peraltro stimato che la sharing economy è potenzialmente in grado di accrescere le entrate globali dagli (allora) 13 miliardi di euro circa a 300 miliardi di euro entro il 2025. Nello stesso studio si stima che si potrebbero recuperare in Italia circa 450 milioni di euro di prodotto interno lordo (PIL) di base imponibile, attualmente oggetto di elusione fiscale, corrispondenti a non meno di 150 milioni di euro di maggiore gettito per l’erario, tra imposte dirette e imposte indirette.
Entro il 2025 si stimano crescite di oltre venti volte la stima, portando così il nuovo gettito a circa 3 miliardi di euro.
Una compiuta regolamentazione del fenomeno consentirebbe dunque l’emersione di un ampio segmento di economia informale.