25 ottobre 2018

Il trattamento IVA delle prestazioni pubblicitarie

Autore: Giovambattista Palumbo
Ai fini Iva, il momento impositivo della prestazione pubblicitaria remunerata col diritto al c.d. cambio merce, ossia alla futura cessione di beni o alla futura prestazione di servizi da parte del committente la pubblicità, che s'inquadra nel novero delle operazioni permutative, coincide con l'effettuazione della prestazione, la quale, costituendo a sua volta il corrispettivo anticipato del c.d. cambio merce, determina l'imponibilità anche di questa prestazione, purché ne sia già noto l'oggetto alle parti. La prestazione pubblicitaria eseguita mediante diffusione del messaggio pubblicitario per il tramite di mezzo radiotelevisivo ubicato in Italia a un'impresa, anch'essa ubicata in Italia, a sua volta incaricata di svolgere servizi pubblicitari all’estero è munita del requisito della territorialità, benché sia indirizzata a utenti ubicati fuori dal territorio dell'Unione europea.

Il caso – La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 25661 del 15/10/2018, ha risolto un complesso contenzioso in tema di trattamento Iva delle prestazioni pubblicitarie.
Nella specie, la società contribuente, cui era poi subentrata Rai Pubblicità, era, in virtù di una convenzione, la concessionaria esclusiva della pubblicità radiofonica e televisiva della RAI, la quale ne deteneva l'intero capitale sociale.
In particolare, la convenzione prevedeva la facoltà della società di procedere alla vendita di spazi pubblicitari, ricevendone come corrispettivi cc.dd. cambi merce.

L'Agenzia delle entrate, per quanto di interesse, aveva dunque qualificato come permutative queste operazioni, ritenendo quindi che la contribuente avrebbe dovuto fatturare ai clienti committenti la pubblicità le prestazioni pubblicitarie eseguite per l'intero importo e che i clienti committenti avrebbero a loro volta dovuto fatturare alla società le operazioni di cambio merce.
L'Ufficio contestava inoltre l'illegittimità della detrazione dell'Iva concernente le fatture passive ricevute dalla RAI per le prestazioni pubblicitarie eseguite tramite RAI International (ora Rai Italia), che l'Agenzia aveva ritenuto indebitamente assoggettate a imposta, pur in mancanza del requisito della territorialità.

La società impugnava il relativo atto di contestazione, ottenendone il parziale annullamento dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino, con riferimento alla detrazione dell'Iva riguardante le prestazioni pubblicitarie irradiate da Rai International in territorio extra UE.

La Commissione Tributaria Regionale accoglieva poi l'appello della stessa società con riferimento al trattamento impositivo delle operazioni di c.d. cambio merce, affermando in particolare che le operazioni di cambio merce andavano considerate come permute a effetti obbligatori, sicché il momento impositivo necessitava dell'individuazione da parte della società contribuente dei beni o dei servizi che ne erano oggetto.
Contro questa sentenza la società proponeva infine ricorso per cassazione, a cui l'Agenzia replicava con controricorso e ricorso incidentale.

Le operazioni permutative – Per quanto di interesse, il ricorso incidentale, affrontava il tema delle operazioni intercorse tra la società e i suoi clienti committenti le prestazioni e quello del cambio merce rese alla società dai clienti.
La Cassazione rileva come la CTR avesse ritenuto che, al caso in esame, si adattasse il modello delle operazioni permutative, regolate ai fini Iva dall'art. 11 del Dpr n. 633/72.

Si trattava, tuttavia, secondo il giudice d'appello, di permute a effetti obbligatori, sicché il momento impositivo coincideva pur sempre con quello di esecuzione della seconda prestazione che fungeva da corrispettivo. E ciò perché soltanto la scelta della merce consentiva, secondo la CTR alla società prestatrice di divenirne proprietaria e quindi di poterla a propria volta cedere a terzi.
In definitiva, in base al ragionamento della CTR, il momento impositivo ai fini Iva delle due operazioni era il medesimo.
Secondo l'Agenzia, invece, l'emissione di fattura per una delle due prestazioni che componevano la complessiva operazione permutativa innescava l'obbligo di fatturazione anche dell'altra, senza che occorresse verificare il momento in cui ciascuna fosse stata eseguita.
In questo contesto, dunque, era corretto l'inquadramento dell'operazione in seno a quelle permutative, regolate dall'art. 11 cit., che stabilisce che «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni e prestazioni di servizi, o per estinguere precedenti obbligazioni, sono soggette all'imposta separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono state effettuate».

Le operazioni permutative rilevanti ai fini dell'Iva hanno quindi oggetto più ampio rispetto a quello del contratto di permuta disciplinato dall'art. 1552 c.c., in quanto, oltre che agli scambi di cosa con cosa e di diritto con diritto, si estendono agli scambi di beni e servizi e di servizi con altri servizi (Cass. 23 dicembre 2000, n. 16173 e ord. 30 novembre 2017, n. 28723).

E il fatto che all'esecuzione di una prestazione di servizi corrisponda l'impegno a eseguire una cessione di beni, oppure a eseguire una prestazione di servizi non è d'ostacolo alla configurazione dell'operazione permutativa.
A norma dell'art. 11 del Dpr n. 633/72, allora, le due operazioni che compongono la complessiva operazione permutativa vanno tassate separatamente.

E, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, allora, le prestazioni di servizi eseguite dalla società contribuente dovevano essere ritenute imponibili al momento della loro esecuzione, e non già soltanto al momento dell'individuazione di beni e servizi oggetto dei cc.dd. cambi merce.
Il primo motivo del ricorso incidentale proposto dall'Agenzia era quindi da accogliere.

La territorialità delle prestazioni - Quanto al secondo motivo, concernente il carattere di extraterritorialità delle prestazioni diffuse tramite RAI International fuori dal territorio dell'allora Comunità europea, che il giudice d'appello aveva escluso, era pacifico è che le prestazioni fossero state eseguite in Italia, anche se destinate all'estero.

La Corte rileva a tal proposito come, in deroga alla regola generale stabilita dall'art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva, il successivo art. 9, n. 3, lett. b) consente a uno Stato membro di considerare il luogo di prestazione dei servizi situato al di fuori della Comunità a norma di detto articolo come se fosse situato all'interno del Paese, quando l'effettiva utilizzazione e l'effettivo impiego hanno luogo all'interno dello stesso.
Facoltà che nel caso in esame è stata esercitata dallo Stato italiano, il quale con l'art. 7, 4° comma, lett. d), nel testo vigente ratione temporis, ha stabilito che «le prestazioni pubblicitarie [...], di radiodiffusione e di televisione, le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici [...], nonché le prestazioni di intermediazione inerenti alle suddette prestazioni o operazioni e quelle inerenti all'obbligo di non esercitarle [...] si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all'estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti al/'estero, meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica europea».

E la Corte di Giustizia ha chiarito che, per paese all'interno del quale hanno luogo l'effettiva utilizzazione e l'effettivo impiego, in base all'art. 9, n. 3, lett. b), della sesta direttiva, s'intende, in materia di prestazioni pubblicitarie, il paese dal quale vengono diffusi i messaggi pubblicitari (punto 29 della sentenza in causa Soc. Athesia Druck).

E, giustappunto con riguardo alla diffusione in Italia, ha soggiunto che «indipendentemente dalla circostanza che i destinatari di tali prestazioni possano essere distribuiti in tutto il mondo, è certo che i media italiani sono diffusi soprattutto in Italia. Pertanto, l'effettiva utilizzazione e l'effettivo impiego di messaggi pubblicitari devono essere considerati, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, effettuati in Italia» (punti 30 e 31 della medesima sentenza).

Era dunque in questo caso corretta la sentenza impugnata, benché se ne dovesse correggere la motivazione, calibrata esclusivamente sulla natura di mandato senza rappresentanza della convenzione tra la Rai e la società contribuente.
In tema di Iva, in conclusione, la prestazione pubblicitaria eseguita mediante diffusione del messaggio pubblicitario per il tramite di mezzo radiotelevisivo ubicato in Italia a un'impresa, anch'essa ubicata in Italia, a sua volta incaricata di svolgere servizi pubblicitari, prima di essere fatturata da quest'ultima al committente di pubblicità, è munita del requisito della territorialità, benché sia indirizzata e giunga a utenti ubicati fuori dal territorio dell'Unione europea.
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