12 settembre 2018

Imbarcazione straniera: Iva non imponibile se l’importazione è temporanea

Autore: Giovambattista Palumbo
Ai fini del riconoscimento del regime di non imponibilità rileva la tipologia oggettiva dell'intervento e la natura del bene di provenienza estera, in condizione di importazione temporanea. Nella vicenda in esame, mancava la prova che le navi si trovassero in condizione di importazione temporanea, laddove l'autorità marittima del primo porto di approdo nazionale, a tal fine, rilascia alle imbarcazioni battenti bandiera estera non comunitaria il cd. costituto in arrivo, che costituisce il documento con cui vengono attestate le formalità di arrivo e partenza. Solo tale atto è idoneo a comprovare che l'imbarcazione straniera si trova sulle acque comunitarie in regime di importazione temporanea.

Il caso – La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21298 del 29/08/2018, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di temporanea importazione. Nel caso di specie, l'Agenzia delle entrate notificava ad una società un avviso di accertamento Iva per aver la contribuente emesso fatture attive per operazioni non imponibili, o in sospensione d'imposta, ex artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 633 del 1972, in assenza di documenti idonei ad attestare il regime applicato.

Evidenziava l'Ufficio che le operazioni - di cantieristica e riparazioni su navi estere, con acquisto dei beni a tale scopo necessari - riguardavano unità da diporto battenti bandiera extracomunitaria, per le quali, tuttavia, mancava la prova dell'arrivo nel porto italiano in ordine alla nave cui si riferivano le singole fatture, per l'omessa allegazione del cd. costituto in arrivo.

L'impugnazione era accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Genova, con decisione poi confermata anche dalla CTR della Liguria, che rilevava che i lavori su navi di provenienza estera si fondavano su un contratto di appalto, sicché era applicabile il regime di esenzione Iva indipendentemente dalla destinazione futura della nave.

L'Agenzia delle Entrate ricorreva infine per cassazione, denunciando, tra le altre, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 9, primo comma, n. 9, del d.P.R. n. 633 del 1972 e lamentando, in sostanza, che la CTR non aveva ben considerato la domanda e le ragioni della pretesa tributaria, basata non sulla destinazione futura dei beni, ma, invece, sull’assenza di prove da parte del contribuente della condizione di temporanea importazione delle navi estere sulle quali erano stati effettuati i lavori.

La decisione – La Suprema Corte ritemeva il ricorso fondato. Evidenziano i giudici di legittimità che costituiscono «servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali» e non «si considerano effettuati nel territorio dello Stato», con conseguente non imponibilità Iva per difetto del requisito di territorialità, ai sensi dell'art. 7, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, tra l'altro, i servizi ricompresi tra quelli elencati nel successivo art. 9, primo comma, n. 99, che contempla «i trattamenti di cui all'art. 176 del T. U. approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, eseguiti su beni di provenienza estera non ancora definitivamente importati, nonché su beni nazionali, nazionalizzati o comunitari, destinati ad essere esportati da o per conto del prestatore del servizio o del committente non residente nel territorio dello Stato», laddove l'art. 176, primo comma, lett. c, del D.P.R. n. 43 del 1973, poi, prevede che «La temporanea importazione ai sensi del primo comma del precedente articolo è consentita a condizione che le merci da importare siano destinate a ricevere uno o più dei trattamenti appresso indicati e che sia possibile accertare l'impiego delle merci stesse nei prodotti da ottenere: [...] c) riparazione, compresi il riattamento e la messa a punto;».

Dalla lettura delle citate norme, dunque, secondo la Suprema Corte, emerge che il Legislatore, ai fini del riconoscimento del regime della non imponibilità, ha considerato:

a) la tipologia oggettiva dell'intervento;
b) la natura del bene «di provenienza estera» «non ancora definitivamente importato» (ovvero, «su beni nazionali» e simili, se questi debbono essere «destinati ad essere esportati» da o per conto di soggetto «non residente»).



Con riguardo a questo secondo elemento assumeva dunque rilievo dirimente per l'applicazione del regime di non imponibilità che i beni, ossia le navi in relazione all'ipotesi in giudizio, fossero esteri, in condizione di importazione temporanea ai fini dell'esecuzione delle lavorazioni di manutenzione e rifacimento.

Nella vicenda in esame era pacifico che le navi battevano bandiera straniera, non comunitaria, così come il fatto che fossero stati eseguiti lavori di riparazione, in forza di contratto d'appalto.

Mancava però la prova che le navi si trovassero in condizione di importazione temporanea, laddove, peraltro, sottolinea la Corte:
  • l'art. 179 cod. nav., applicabile anche alle navi straniere ex art. 185 cod. nav., prevede che le navi, al momento dell'arrivo in porto, debbono far pervenire una dichiarazione all'autorità marittima per fornire tutte le informazioni relative al viaggio, ai passeggeri, al carico ed altro;
  • l'art. 723 del Regolamento CE n. 2454/1993 disciplina poi l'ipotesi dell'ammissione temporanea dei mezzi di trasporto adibiti alla navigazione marittima nelle acque interne che (comma 2) «possono restare nel territorio doganale della Comunità per tutto il tempo necessario allo svolgimento delle operazioni per cui è richiesta l'ammissione temporanea, quali l'inoltro, lo sbarco o l'imbarco dei passeggeri, lo scarico e il carico delle merci, il trasporto e la manutenzione»;
  • la Convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956, infine, prevede che i mezzi navali extra comunitari possano accedere nel territorio doganale con un documento di importazione temporanea, definito come «il documento che permette di riconoscere l'imbarcazione o l'aeromobile e d'accertare la prestazione della garanzia o il deposito dei diritti e tasse di importazione», e detta le condizioni, oggettive e temporali, che regolano la permanenza nelle acque comunitarie delle imbarcazioni.

La documentazione e l’onere della prova - L'autorità marittima del primo porto di approdo nazionale, a tal fine, rilascia quindi alle imbarcazioni battenti bandiera estera (non comunitaria) il cd. costituto in arrivo - che costituisce il documento con cui vengono attestate le formalità di arrivo e partenza – avente la durata di 12 mesi e che deve poi essere restituito all'atto della partenza verso un porto estero.
Tale atto (e solo tale atto) è dunque idoneo a comprovare che l'imbarcazione, straniera, si trova sulle acque nazionali (rectius: comunitarie), in regime di importazione temporanea.

La natura di regime agevolativo, del resto, conclude la Cassazione, comporta che la prova dei presupposti per fruirne resta a carico del contribuente, sul quale incombe l'onere di dimostrare che la nave si trova sul territorio nazionale in regime di importazione temporanea, prova che può essere adeguatamente assolta con l'esibizione del citato documento.

Conclusioni - La CTR aveva dunque errato a ritenere che le circostanze della nazionalità straniera dei beni e dell'esecuzione dei lavori fossero sufficienti per l'applicabilità del regime di non imponibilità Iva, dovendosi altresì escludere che la mera esistenza di un contratto di appalto per l'esecuzione dei lavori potesse considerarsi in sé requisito sufficiente, trattandosi sì di elemento che rientra nella tipologia di situazioni (oggettive) che legittimano a richiedere l'ammissione dell'imbarcazione extracomunitaria al regime di temporanea importazione, ma che ha comunque una incidenza neutra rispetto agli altri presupposti sopra evidenziati.
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