6 ottobre 2018

Imposta di soggiorno non versata: l’albergatore risponde di peculato

Autore: Francesco Rubera
La giurisdizione contabile in materia di danno erariale per mancato versamento dell’imposta di soggiorno da parte del gestore dell’attività alberghiera - Sezioni Unite Ord. 19654/2018.

L’albergatore che, dopo aver incassato l’imposta di soggiorno, ne omette il versamento all’Ente competente, commette il delitto di peculato. Tribunale di Firenze – Sezione penale- Sentenza 2 febbraio 2016, n. 241.

In questi giorni è circolata la notizia di una forte evasione, di circa il 50% nel settore dei B&B e delle case vacanza. Si tratta di un settore in cui, molto spesso, esistono enormi sacche di attività in nero che non dichiarano il reddito di impresa legato all’attività turistico - alberghiera esercitata. In determinati casi, tuttavia, dietro queste attività esercitate in nero, oltre all’evasione fiscale, si possono annidare forti situazioni di propensione all’illegalità diffusa, che possono condurre anche a giudizi di conto per danno erariale o addirittura a fattispecie di reato abbastanza gravi, come il peculato - sebbene in ipotesi estreme, specie in quei comuni che hanno istituito la tassa di soggiorno turistico -. Il titolo di questo breve scritto nasce proprio dall’analisi delle due pronunce richiamate: l’Ordinanza della Cassazione SS.UU. 19654/2018 di luglio di quest’anno e la Sentenza del Tribunale di Firenze – Sezione penale del 2 febbraio 2016, n. 241.

Ma veniamo all’analisi delle pronunce che conducono alla conclusione riportata nel titolo:
con ricorso in Cassazione per regolamento di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., in relazione al giudizio pendente presso la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Toscana, iscritto al n. 60425/16, veniva sollevato il conflitto di giurisdizione in relazione alla cognizione delle cause relative al danno provocato da un albergatore che non versava all’Amministrazione comunale le somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, regolarmente versate dai turisti alloggiati presso la struttura alberghiera. L’albergatore ricorrente aveva sostenuto la tesi secondo la quale “la riserva di legge dell’art. 23 della Costituzione, non vale esclusivamente per le prestazioni a carattere tributario regolate dall’art. 53 della Costituzione, ma per ogni prestazione imposta dalla pubblica amministrazione a carico di un privato, sicché in assenza di una legge che imponga a carico degli albergatori una prestazione a carattere tributario, deve esistere una legge che imponga agli albergatori medesimi una prestazione a carattere patrimoniale, consistente nell’esazione dell’imposta, nella sua contabilità e nel successivo versamento nelle casse comunali”.

Secondo il ricorrente, quindi, gli albergatori non possono essere considerati agenti contabili, con la conseguenza che il rapporto che nasce con il Comune è da ritenere di tipo civilistico, inquadrabile nell’istituto della delega di pagamento, con giurisdizione dell’A.G.O. in merito alla controversia. Ed invero, l’imposta di soggiorno è un tributo istituito facoltativamente dai comuni, attraverso l’adozione di un regolamento comunale, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 23/2011. Essa non rappresenta un tributo armonizzato all’interno dell’Unione Europea, come sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 102 del 2008 e, quindi, ogni Stato membro è libero di disciplinarla con propria normativa interna. In Italia, i regolamenti attuativi comunali onerano l’albergatore alla riscossione, insieme con il corrispettivo del prezzo del soggiorno. In quest’ottica, l’albergatore che riscuote e maneggia denaro pubblico, è qualificabile “agente contabile”. Ed invero, secondo la Cass. SS.UU. del 18.06.2018, n.16014, l’incaricato di riscuotere denaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici, del quale ha il maneggio dal momento della riscossione sino al versamento all’Ente impositore, è un agente contabile e, quindi, ogni controversia intercorrente tra l’Agente contabile e l’Ente impositore, che riguarda i rapporti dare-avere, si estrinseca in un “giudizio di conto”, la cui cognizione è rimessa alla giustizia contabile.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini del danno erariale, non necessita che l’agente contabile sia un “organo della P.A.” atteso che, anche un rapporto di servizio “non organico”, ma semplicemente funzionale, sebbene esercitato da un privato in rapporto di concessione (come nel caso dell’Agente della Riscossione) o anche di mero fatto, come nell’ipotesi in specie, può dar luogo a danno erariale (Cass. Sez. Unite n. 21297 del 14.09.2017). Pertanto, delle somme ricevute, l’albergatore che ne disponga in modo diverso da quello per il quale le ha ricevute, risponde di danno erariale e la cognizione dell’azione di responsabilità contabile spetta alla Corte dei conti. La doglianza posta dal ricorrente, relativa alla riserva di legge posta dall’art. 23 della Costituzione in materia di prestazioni patrimoniali imposte ai cittadini è del tutto fuorviante rispetto al rapporto contabile esistente tra l’albergatore e l’Ente impositore, atteso che l’art. 23 istituisce il tributo, ma non estende la riserva di legge all’attività di riscossione, che è disciplinata dal regolamento comunale, cui la legge espressamente rinvia. L’attività di riscossione non è una prestazione patrimoniale imposta, ma un servizio funzionale. Con questo ragionamento, le Sezioni riunite della Corte dei Conti 22.09.2016, n. 22 sono giunte alla conclusione che il rapporto tributario intercorre esclusivamente tra il Comune che istituisce l’imposta e il soggetto che alloggia nella struttura alberghiera, mentre il gestore della struttura ricettiva è del tutto estraneo al rapporto tributario e non può essere qualificato come responsabile o sostituto d’imposta, trattandosi di un mero agente contabile del Comune, che non è soggetto passivo e neanche coobbligato del rapporto tributario, ma espleta l’attività di riscossione seppur funzionale al rapporto tributario. Come sostenuto dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. sent. 21.05.1975, n.114 e Corte Cost. sent. 25.07.2001, n.292), l’obbligo della resa di conto, che giustifica il giudizio di conto soggetto alla giurisdizione contabile, è legato al maneggio di danaro pubblico ed il gestore della struttura ricettiva, che per conto del comune incassa l’imposta di soggiorno dei turisti alloggiati, maneggia denaro pubblico ed è tenuto a riversarla ed a rendere il conto.

Con queste argomentazioni, le SS.UU. hanno riconfermato il principio consolidato dell’appartenenza della giurisdizione della Corte dei Conti in relazione alla controversia de quo e rigettato l’argomentazione del ricorrente basata sull’istituto civilistico della delega di pagamento. Venendo alla sentenza del Tribunale di Firenze e tenuto conto della natura del rapporto che caratterizza la funzione esercitata dal gestore alberghiero, quale mero agente contabile del Comune, principio già consolidato nella giurisprudenza delle Sezioni riunite della Corte dei Conti e confermato dalle SS.UU. recenti, con sentenza 2 febbraio 2016, n. 241 si evidenzia che: “l’albergatore che, dopo aver incassato l’imposta di soggiorno, ne omette il versamento all’ente competente, commette il delitto di peculato in quanto egli opera come un agente della riscossione, ossia come incaricato di pubblico servizio e tale qualifica soggettiva determina la configurabilità del reato previsto dall’art. 314 c.p.”. In ogni caso, la semplice omessa riscossione, seppure non determini il reato di peculato, è di per sé sufficientemente idonea ad instaurare un Giudizio di Conto per danno erariale, su denuncia del comune alla competente Procura generale della Corte dei Conti, la quale, qualora accerti che vi sia stato anche omesso riversamento, trasmetterà gli atti alla Procura della Repubblica per l’accertamento del reato di peculato, mentre in caso contrario istruirà gli atti per il giudizio avanti la magistratura contabile.
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