29 ottobre 2018

Impresa: per la deducibilità dei costi è sufficiente il riferimento all’attività

Autore: Giovambattista Palumbo
Affinché un costo sia fiscalmente deducibile dal reddito d'impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva, ma è sufficiente che esso sia correlato, in senso ampio, all'impresa in quanto tale. E se rientra nei poteri dell'Amministrazione la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, comunque, tale sindacato non può spingersi alla verifica oggettiva circa la necessità od opportunità di tali costi rispetto all'oggetto dell'attività, sino a valutazioni di strategia commerciale riservate solo all'imprenditore.

Il caso - La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 26202 del 18/10/2018, ha chiarito quali sono i limiti per l’Amministrazione Finanziaria per sindacare le scelte imprenditoriali e contestare l’inerenza di costi dedotti dal contribuente.
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale delle Marche rigettava l'appello dell'Agenzia delle Entrate, nell’ambito di un contenzioso avente ad oggetto un avviso di accertamento, con cui, tra le altre, veniva rettificata la dichiarazione per indebite deduzioni di costi non inerenti relativi a servizi di consulenza tecnica e contabile.

Il ricorso della contribuente, basato sulla deduzione che i costi fossero connessi all'attività di manutenzione svolta in dipendenza di un contratto di "global service maintenance", da qualificarsi come contratto di somministrazione, veniva accolto dalla CTP e, come detto, l'appello dell'Agenzia veniva poi respinto dalla CTR sul presupposto che la prospettazione della contribuente fosse fondata.
L’Amministrazione finanziaria proponeva, infine, ricorso per cassazione, censurando la sentenza per avere la CTR riconosciuto l'inerenza dei costi relativi allo "svolgimento dell'attività di manutenzione di una raffineria svolta dal cessionario in favore del cedente", sebbene fosse pacifico che tale attività fosse svolta dal cessionario in favore di una società diversa da quella riportata nella fattura passiva contabilizzata e non fosse stato acquisito alcun contratto concluso tra la pretesa cedente e il cessionario relativamente alle forniture contestate.
L’Agenzia deduceva inoltre che la CTR aveva prima ritenuto che i costi contestati fossero relativi allo svolgimento di un'attività di manutenzione di una raffineria svolta dal cessionario in favore del cedente e, successivamente, che gli stessi costi erano stati sostenuti solo dal cedente, beneficiario dell'attività di manutenzione.

E, infine, la ricorrente rilevava che la CTR aveva affermato che gli acquisti contestati, benché formalmente effettuati da una società diversa dalla contribuente, dovevano considerarsi inerenti all'attività di quest'ultima, in quanto essa utilizzava i beni così acquistati per lo svolgimento dell'attività di manutenzione di un impianto di proprietà del formale cessionario.

La decisione - Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era infondato, essendo i costi relativi alle obbligazioni di manutenzione dedotte nel contratto.
La Corte rammenta poi che in tema di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto dall'imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d'impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all'impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili.

Dunque, il fatto che, nel caso di specie, fosse la somministrata ad effettuare gli acquisti, non escludeva che la somministrante potesse far valere l'inerenza dei costi circa tali acquisti, trattandosi appunti di beni necessari alla manutenzione, come ritenuto dalla CTR con un accertamento di merito adeguatamente motivato, incensurabile in sede di legittimità.
Se infatti rientra nei poteri dell'Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture - contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio d'impresa, comunque, tale sindacato non può spingersi alla verifica oggettiva circa la necessità od opportunità di tali costi rispetto all'oggetto dell'attività, sino a valutazioni di strategia commerciale riservate all'imprenditore nel determinare elementi che trovano poi, nell'autonomia negoziale delle parti, un assetto nell'accordo contrattuale.

Conclusioni – In conclusione, secondo la Corte, come confermato dalla più recente evoluzione della giurisprudenza di legittimità, è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico, non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità, anche solo potenziale o indiretta (cfr., Cass. 11 gennaio 2018 n.450).

Sempre la Cassazione, del resto, con la sentenza n. 18904 del 17/07/2018, pur confermando che il principio di inerenza si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo, ha rilevato come, in tema di imposte dirette, l'Amministrazione finanziaria, nel negare l'inerenza di un costo, possa comunque contestare l'incongruità e l'antieconomicità della spesa, laddove queste assumano rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa.
In tema di Iva, poi, tale prova è “aggravata”, dato che l'inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un mero giudizio di congruità della spesa, salvo che l'Amministrazione finanziaria ne dimostri la “macroscopica” antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell'assenza di connessione tra costo ed l'attività d'impresa.

La nozione fiscale di inerenza deve, in sostanza, essere riallineata al fenomeno economico peculiare all'esercizio dell'attività d'impresa.
Il costo, infatti, attiene o non attiene all'attività d'impresa a prescindere dalla sua entità.
Il giudizio quantitativo o di congruità non è, però, del tutto irrilevante, collocandosi, invece, su un diverso piano logico e strutturale.
La questione, infatti, si intreccia con il profilo dell'onere della prova dell'inerenza del costo, che incombe sul contribuente, laddove la prova deve investire i fatti costitutivi del costo stesso.

Il contribuente è tenuto cioè a provare (e documentare) l'imponibile maturato e, dunque, l'esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione.
In particolare, però, per le operazioni imprenditoriali di maggiore complessità, od inserite in una più ampia strategia aziendale, il cui articolarsi in concreto può comportare, anche per scelta, il compimento di atti onerosi o costi elevati, la contestazione dell'Ufficio non può tradursi in una mera non condivisibilità della scelta, perché apparentemente lontana dai canoni di normalità del mercato, che equivarrebbe, appunto, ad un sindacato sulle scelte imprenditoriali, ma deve consistere nella positiva affermazione che l'operazione, sulla base di elementi oggettivi, non si inseriva nell'attività produttiva, così da determinare un giudizio di inerenza negativo.
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