5 marzo 2018

L’esercizio del potere disciplinare e il codice disciplinare aziendale

Autore: Ketti Fisichella
L’instaurazione del rapporto di lavoro determina il sorgere di diritti e doveri, poteri e vincoli di subordinazione in capo alle parti.
Tra i poteri esercitati dal datore di lavoro vi è quello disciplinare che è espressamente sancito dal codice civile all’ art. 2106 e costituisce lo strumento di reazione all’inosservanza degli obblighi di obbedienza, diligenza e fedeltà, cui devono attenersi i lavoratori (art. 2104 e 2015 codice civile).

Di fatto, a seguito dell’entrata in vigore della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), sono state introdotte all’art. 7, rubricato “sanzioni disciplinari”, le procedure per il corretto esercizio del potere disciplinare: si tratta di regole molto precise poste a garanzia e tutela non solo del datore di lavoro, ma anche del lavoratore.

Il datore di lavoro, per un corretto esercizio del potere disciplinare, è tenuto a redigere e diffondere, mediante affissione in luogo pubblico accessibile a tutti, il codice disciplinare aziendale.

Il codice disciplinare è un documento che, oltre a dettagliare le regole comportamentali che il lavoratore deve osservare sui luoghi di lavoro, deve prevedere al suo interno le modalità procedurali per la contestazione degli addebiti, individuare le infrazioni e stabilire il regime sanzionatorio per le mancanze accertate.

Si rappresenta che nelle aziende di medio – grande taglio è opportuno inserire all’interno del codice disciplinare l’apposita descrizione del “Chi fa – Cosa” che a puro titolo esemplificativo potrebbe essere organizzata come segue:
  • Chi fa – previsione e determinazione di un’apposita commissione disciplinare, composta dal Dirigente HR, dal Dirigente dell’area di riferimento cui fa parte il dipendente, dal Direttore Generale e da un segretario verbalizzante;
  • Cosa – organizzazione di incontri per l’audizione dei dipendenti, valutazione delle eventuali giustificazioni scritte, valutazione della condotta, analisi delle giustificazioni addotte e irrogazione dell’eventuale sanzione disciplinare.

Affinché si possano valutare eventuali comportamenti sanzionabili è necessario però che l’addebito venga contestato per iscritto e che la contestazione rispetti alcuni principi:
  • Immediatezza - l'addebito va contestato prima possibile, in ogni caso entro il termine eventualmente stabilito dal contratto collettivo;
  • Specificità - i fatti vanno individuati in modo preciso per consentire una difesa puntuale, per cui è necessario circostanziare l’episodio dettagliando il più possibile l’accaduto, ovvero evidenziando eventuali recidive qualora ve ne fossero;
  • Immutabilità - il fatto risultante dalla contestazione non può essere successivamente modificato.

Le sanzioni comminabili sono esclusivamente quelle previste dalla legge e devono essere irrogate nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità:
  • richiamo verbale;
  • ammonizione scritta;
  • multa;
  • sospensione;
  • licenziamento disciplinare.

Tra le molteplici sentenze della Corte di Cassazione in materia di proporzionalità della sanzione, si può segnalare la n. 8737 del 13 aprile 2010, nella quale è stato ritenuto illegittimo un licenziamento intimato a causa di una lite tra colleghi durata qualche minuto. I Giudici della Corte hanno ritenuto eccessiva la sanzione inflitta del licenziamento disciplinare, valutandola carente proprio del requisito della proporzionalità.

In un procedimento disciplinare è altresì necessario consentire l'esercizio del diritto di difesa del prestatore: quest’ultimo può presentare memorie scritte e chiedere al contempo di essere ascoltato, sia personalmente sia in presenza della rappresentanza sindacale cui abbia conferito mandato; in questo caso l’audizione diventa imprescindibile ai fini della corretta applicazione di un eventuale provvedimento sanzionatorio.
In ogni caso, le sanzioni non possono essere irrogate prima che siano trascorsi 5 giorni dalla avvenuta contestazione.

La legge, in generale, non prevede un termine massimo entro cui il datore di lavoro può procedere ad irrogare la sanzione. Tale termine è però previsto da alcuni contratti collettivi nazionali: lì dove fosse previsto decorrerebbe dal momento in cui il lavoratore presenta le proprie giustificazioni o, in mancanza, dalla scadenza dei cinque giorni concessi.

Il comma 6 dell’art. 7 della legge 300/1970 consente al dipendente al quale sia stata irrogata la sanzione di chiedere la costituzione di un “Collegio e Arbitrato”: questa possibilità deve comunque essere esercitata nei venti giorni successivi all’applicazione della sanzione disciplinare tramite istanza da inoltrare alla ex Direzione Territoriale del Lavoro, oggi ITL, competente per territorio. In questa fase la sanzione rimane sospesa fino alla definizione del lodo.

Il datore di lavoro dovrà nominare un proprio rappresentante in seno al collegio entro dieci giorni dall’invito trasmesso dalla ITL: qualora non lo facesse, la sanzione disciplinare irrogata perderebbe ogni suo effetto.

Il lavoratore, in alternativa, può ricorrere all’Autorità Giudiziaria al fine di vedersi annullare la sanzione: in questo caso il Tribunale competente è il Tribunale del Lavoro del Comune nel quale si svolge la prestazione lavorativa. In eventualità come queste la causa seguirà la normale procedura prevista per vertenza di lavoro e terminerà con pronuncia del Giudice incaricato.
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