22 settembre 2018

La capacità limitata del fallito di stare in giudizio

Autore: Gianfranco Antico
Con l’ordinanza n.21602 del 4 settembre 2018 la Corte di Cassazione ha confermato che “la dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta, a norma dell'art. 43 L.fall., la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore. Se, però, l'amministrazione fallimentare rimane inerte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali, sempre che l’inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia” (Cass. n. 13814 del 2016; conf. Cass. n. 13991 del 2017; v. anche Cass. n. 9248 del 2015, n. 13814 del 2016 e n. 8132 del 2018).

Nel caso di specie viene rilevato che sono gli stessi ricorrenti “a riferire che il curatore fallimentare, in risposta alla richiesta dai medesimi avanzata al fine di conoscere le determinazioni in merito alla possibilità di proporre ricorso per revocazione avverso la sopra indicata sentenza di questa Corte, aveva loro comunicato che «con provvedimento del 21.11 u.s. il G.D. ha autorizzato la curatela a non porre in essere alcuna attività in ordine alla revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione n. 16060/2017 e n. 16061/2017». Il tenore di tale comunicazione è, quindi, tale da escludere l’inerzia degli organi fallimentari, addirittura contrari all’azione giudiziaria prospettata dal richiedente, come peraltro confermato dai provvedimenti resi al riguardo dal Giudice delegato. Invero, quello apposto sul margine superiore della relazione redatta dal curatore sull’istanza avanzata dalla società fallita, diversamente da quanto sostiene quest’ultima, non è un provvedimento di autorizzazione rivolto alla società bensì al curatore, di non assumere alcuna iniziativa processuale, in conformità a quanto da quello evidenziato nella relazione, circa il fatto che la procedura non aveva «mai posto in essere alcuna attività in relazione ai giudizi pendenti in cassazione». E ciò trova esplicita conferma nel provvedimento adottato sulla successiva «richiesta di specificazione delle decisioni della curatela», in cui il G.D. espressamente «ribadisce la volontà della curatela di non costituirsi in giudizio”.

Da quanto detto consegue l’inammissibilità del ricorso che, nelle ipotesi come quella in esame, in cui gli organi fallimentari hanno espresso una valutazione negativa in ordine all’opportunità di promuovere il giudizio di revocazione, è rilevabile d’ufficio (cfr., ex multis, Cass., Sent.n. 13991 del 06/06/2017, nonché Cass., Sent.n. 5571 del 09/03/2011 e Cass., Sent.n. 21765 del 26/10/2015).

In pratica, l’imprenditore fallito non è legittimato a impugnare l’avviso di accertamento al posto del Curatore quando questo abbia assunta una esplicita presa di posizione negativa circa la utilità per la massa dei creditori di promuovere la lite fiscale.

E’ questo, in estrema sintesi, il principio che si ricava dalla lettura dell’ordinanza della Cassazione in esame, per altro conforme al recente pronunciamento della stessa Corte (n.8132 del 3 aprile 2018, dove per gli Ermellini “nel caso di specie non vi era stata una semplice inerzia della curatela fallimentare, quanto piuttosto vi era stata una esplicita presa di posizione negativa circa la utilità per la massa dei creditori di promuovere la lite fiscale de qua. Deve in conclusione affermarsi che la correlativa eccezione preliminare processuale dell’agenzia fiscale è fondata e che quindi non sussiste la legittimazione dell’ex legale rappresentante della società contribuente fallita ad impugnare gli avvisi di accertamento in oggetto”)1.

Solo l’inerzia o il disinteresse del curatore o del liquidatore possono determinare l'eccezionale legittimazione processuale suppletiva del fallito ovvero il mancato esercizio di azioni che avrebbero potuto determinare l’annullamento della pretesa impositiva (autotutela) ovvero una sua diversa determinazione (accertamento con adesione/conciliazione giudiziale).

Né l’inerzia o il disinteresse sono equiparabili alla non condivisione delle scelte/strategie del curatore. Pertanto, se tale inerzia, in via di principio, potrebbe rilevarsi nelle ipotesi di mancata impugnazione dell’atto di accertamento (fatto salvo una eventuale valutazione effettuata in tal senso, come nel caso della sentenza che si annota), non è possibile parlare di inerzia del curatore quando il curatore presti acquiescenza ad una pronuncia sfavorevole al contribuente fallito per economia di gestione del processo.


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1Sul punto, la Corte di Cassazione, nella recente sentenza n.7216 del 13 aprile 2016, sulla questione oggetto del nostro esame, ha affermato che “la dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta la perdita della capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore; a questa regola, enunciata dal R.D. n. 267 del 1942, art. 43, fanno eccezione soltanto l'ipotesi in cui il fallito agisca per la tutela di diritti strettamente personali e quella in cui, pur trattandosi di rapporti patrimoniali, l'amministrazione fallimentare sia rimasta inerte, manifestando indifferenza nei confronti del giudizio (ex plurimis, Cass. n. 24159 del 2013; Cass. n. 4448 del 2012). Nel caso di specie, non sussiste una situazione di disinteresse o di inerzia degli organi fallimentari - tanto che il curatore ha proposto ricorso per cassazione - sicchè non ricorre l'eccezionale legittimazione processuale suppletiva del fallito o di colui che aveva assunto la qualità di liquidatore della società relativamente ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento. Qualora poi la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è opponibile da chiunque e rilevabile anche d'ufficio (Cass. sezioni unite n. 7132 del 1998; Cass. n. 5571 del 2011)”.
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