11 dicembre 2018

La preventiva escussione del socio della SNC secondo la Cassazione

Autore: Giuseppe Avanzato
Con la Sentenza n. 23260, pubblicata il 27 settembre 2018, la Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo avvenuta in violazione del beneficio di preventiva escussione di cui all’art. 2304 c.c. consolidando così il suo più recente orientamento sul punto e superando l’opposto indirizzo, prevalso invece in passato, in base al quale il beneficio di preventiva escussione poteva essere fatto valere solo in sede esecutiva.

Si ricorda che, in tema di società in nome collettivo, l'art. 2304 c.c. citato stabilisce il c.d. beneficium excussionis, ovvero il principio in base al quale i creditori sociali (incluso lo stato) non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo avere infruttuosamente escusso il patrimonio sociale.

Ebbene, attraverso la richiamata pronuncia gli Ermellini hanno stabilito che il contribuente può e anzi deve eccepire dinnanzi al Giudice tributario la mancata preventiva escussione del patrimonio sociale attraverso l’impugnazione della cartella di pagamento e del ruolo ad essa sotteso.

La fattispecie all’esame dei Giudici di legittimità riguardava il ricorso proposto dai soci di una s.n.c i quali, in qualità di coobligati in solido ex art. 2291 c.c. per i debiti della società, avevano impugnato la cartella di pagamento loro notificata eccependone, tra gli altri, la nullità per violazione del beneficio di preventiva escussione giacché l’Agenzia delle Entrate competente aveva iscritto a ruolo a loro carico le somme afferenti i debiti della società senza avere preventivamente agito sul patrimonio dell’ente collettivo.

Invero, le corti di merito di primo e di secondo grado adite avevano respinto l’impugnazione proposta dai soci poiché a parere delle stesse la predetta eccezione poteva essere sollevata solo in sede esecutiva e ciò in quanto, in adesione al previgente orientamento della Cassazione, il beneficium excussionis ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore non può procedere coattivamente a carico del soggetto a vantaggio del quale è stabilito se non dopo aver agito infruttuosamente sui beni da escutere preventivamente, ma può premunirsi di un titolo esecutivo anche nei confronti di quel soggetto.

Come anticipato tale principio non ha trovato accoglimento nella pronuncia dei Giudici di Piazza Cavour poiché, a parere dei medesimi, in tema di riscossione delle imposte il beneficio della preventiva escussione deve legittimamente essere fatto valere dal contribuente mediante impugnazione della cartella di pagamento davanti al Giudice tributario.

E ciò in quanto la notificazione della cartella di pagamento assolve non solo la funzione di portare a conoscenza del destinatario la pretesa avanzata nei suoi confronti ma anche quella prodromica all’esecuzione forzata.

Per cui, in analogia con i principi affermati dagli ermellini in materia civile con riferimento all’atto di precetto, assimilando a quest’ultimo la cartella emessa dall’esattore la Suprema Corte stabilisce che: “Come, in generale, [...] la giurisprudenza non dubita che sia ammissibile impugnare l'atto di precetto per far valere il beneficio di preventiva escussione, senza dover attendere il pignoramento (Cass. n. 23749/11, cit.), così, in particolare, non si ravvisano ostacoli di sistema per ammettere che sia impugnabile la cartella per far valere il beneficio in questione”.

La pronuncia, inoltre, si raccorda col recente intervento della Corte Costituzionale del 31.05.2018 attraverso il quale la Consulta aveva rilevato l’incostituzionalità, per violazione degli artt. 24 e 113 Cost., dell'art. 57, comma 1, lett. a), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 («Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito»), nella parte in cui non prevede l'esperibilità dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. nelle controversie concernenti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso recante l'intimazione ad adempiere.

La Corte Costituzionale, in quella sede,nel raccordare il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 con il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 57 che pone limiti alla facoltà di proporre le opposizioni regolate dagli artt. 615 e 617 c.p.c., ha chiarito che se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, la controversia così introdotta appartiene alla giurisdizione del Giudice tributario e l'atto processuale d'impulso è giustappunto il ricorso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, proponibile avverso "il ruolo e la cartella di pagamento", e non già l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. (Corte Cost. 31 maggio 2018, n. 114).

La conseguenza che ne deriva, secondo il parere della Corte di Cassazione espresso nella Sentenza n. 23260, è che il beneficio di preventiva escussione deve necessariamente essere opposto in sede di impugnazione della cartella di pagamento e del ruolo ad essa sotteso risultando diversamente preclusa in sede esecutiva.

Ebbene, appare evidente che se da un lato l’attuale posizione degli ermellini sul punto incrementa la tutela nei confronti dei contribuenti, dall’altro non può che pregiudicare irrimediabilmente coloro che non hanno sollevato in sede tributaria tale eccezione ma che alla luce del nuovo orientamento della consulta potrebbero non poterla più eccepire in sede esecutiva.
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