L’avvocato che non valorizza nel Quadro RR della dichiarazione dei redditi i proventi da lavoro autonomo deve essere iscritto d’ufficio alla gestione separata Inps per il versamento dei relativi contributi.
È quanto emerge dall’ordinanza n. 6677 della Corte di Cassazione depositata il 7 marzo 2019.
Il fatto
La vicenda origina dal ricorso in Cassazione presentato da un avvocato al quale, in sede di appello, era stata respinta l’opposizione a cartella esattoriale, notificata dall’Inps per il mancato pagamento dei contributi da versare alla gestione separata.
La Corte di appello precisava che l’Inps aveva costituito in mora la professionista per il mancato versamento dei contributi dovuti alla gestione separata alla quale la stessa non si era iscritta, per l’anno 2004, e che la medesima professionista non aveva compilato – nella dichiarazione dei redditi 2005 - il modello RR necessario per la determinazione dei contributi per l’anno 2004. Ed infine che l’avvocato non aveva, altresì, rispettato il termine del 31 maggio dell’anno successivo, previsto per il versamento dell’ultima quota della contribuzione dovuta alla gestione separata.
A parere dei giudici di appello, la condotta della professionista si era risolta nell’intenzione di occultare al creditore l’esistenza dell’obbligazione e ciò aveva ingenerato una situazione preclusiva, per l’Inps, a conoscere l’esistenza del credito, con la conseguenza che l’ente previdenziale non era stato messo nelle condizioni di poter far valere il proprio diritto.
Pertanto, i giudici del gravame, con sentenza, dichiaravano legittima l’iscrizione dell’avvocato alla gestione separata e rigettavano l’opposizione a cartella esattoriale da parte del professionista.
Quest’ultimo proponeva ricorso per Cassazione.
Posizione del ricorrente
L’avvocato lamentava l’erronea valutazione, da parte dei giudici di secondo grado, dei limiti temporali dei termini di prescrizione relativi alla contribuzione dovuta alla gestione separata. In particolare, ad avviso della ricorrente il termine quinquennale di prescrizione doveva farsi decorrere dal 31 maggio 2005 (termine per il versamento del saldo dei contributi dovuti per l’anno 2004) e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi, come diversamente indicato dall’Inps. Pertanto, alla data del 23 agosto 2010, il credito vantato dall’istituto previdenziale doveva ritenersi prescritto. Non dovendosi, dunque, attribuire valore di atto sospensivo dei termini di prescrizione alla richiesta di pagamento notificata dall’Inps.
La decisione della Cassazione
Secondo i giudici della Suprema Corte la sentenza impugnata merita di essere accolta in quanto i giudici di appello hanno correttamente valutato e preso atto della condotta dolosa tenuta dal ricorrente che ha intenzionalmente occultato – non indicandoli nel Quadro RR della dichiarazione dei redditi - i proventi da lavoro autonomo.
A parere della Cassazione “[…] l’operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941, n.8 cod. civ, («tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto») ricorre quando sia posta in essere, dal debitore, una condotta tale da comportare, per il creditore, una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, e dunque quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare, al creditore, l’esistenza dell’obbligazione”.
Ebbene, conclude la Corte, la compilazione del Quadro RR della Dichiarazione dei redditi costituiva l’unico documento che l’Inps avrebbe potuto consultare per verificare l’esistenza di un reddito da lavoro autonomo da parte del professionista.
Sulla base di tali considerazioni ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alle spese di lite.
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