9 febbraio 2019

Limiti alla pignorabilità delle prestazioni pensionistiche: l’intervento della consulta

Autore: Ester Annetta
L’articolo 13, comma 1, lettera l) del Decreto-Legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella Legge 6 agosto 2015, n. 132, ha modificato, com’è noto, l’art. 545 del Codice di procedura civile, aggiungendo i commi settimo, ottavo e nono, prevedendo, pertanto, che: “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge” (ottavo comma); “Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio” (nono comma).

La norma transitoria contenuta nell’articolo 23, comma 6 del suddetto convertito D.L. n. 83/2015 ha poi previsto che “Le disposizioni di cui agli articoli 12 e) 13, comma 1, lettere d), l), m), n), si applicano esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Nella sostanza, dunque, le citate norme hanno stabilito che i limiti alla pignorabilità delle prestazioni pensionistiche (ma anche di altre prestazioni assistenziali o retributive), introdotti con il provvedimento, si applichino esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla sua data di entrata in vigore (ovvero dopo il 27 giugno 2015), anziché a tutte le procedure pendenti alla medesima data.

A riguardo, il Tribunale di Brescia1 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’articolo 3, primo comma, della Costituzione, sostenendo che il predetto art. 23 comma 6 ha introdotto un irragionevole discrimine temporale per l’applicazione del nuovo regime di pignorabilità delle somme accreditate a titolo di pensione o di altre prestazioni assistenziali o retributive, permanendo, per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del DL, un regime contrario ai principi costituzionali richiamati nella sentenza della Consulta n. 85/2015.

Secondo quest'ultima decisione, infatti, era stato affermato il principio che l’interesse del ceto creditorio va contemperato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tra i quali quello sancito dall’articolo 38 della Costituzione, volto ad assicurare al pensionato i mezzi minimi di sostentamento. Di conseguenza, la responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 cod. civ. dovrebbe trovare “il limite della sua sostenibilità umana, soprattutto nei confronti di chi versa in situazioni svantaggiate quali quelle descritte nel citato art. 38”.

Con la Sentenza n. 12 del 5 dicembre 2018, depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2019, la Corte Costituzionale ha pertanto riconosciuto le ragioni richiamate dal giudice a quo e, pertanto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto 23, comma 6, del D.L. n.83/2015 “nella parte in cui non prevede che l’ottavo comma dell’art. 545 del codice di procedura civile, introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera l), del medesimo decreto-legge, si applichi anche alle procedure esecutive aventi ad oggetto prestazioni pensionistiche pendenti alla data di entrata in vigore di detto decreto-legge”.

Secondo la Consulta, infatti, il diverso regime temporale previsto per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del DL n. 83/2015, “benché sia ispirato all’esigenza di salvaguardare l’affidamento nella certezza giuridica di chi ha avviato il pignoramento nella piena vigenza della disciplina antecedente che lo consentiva”, non supera il vaglio di costituzionalità, prevalendo, nel bilanciamento tra valori costituzionalmente protetti, la tutela del pensionato.

La Corte Costituzionale, in definitiva, ha ritenuto di dover accogliere la questione posta in esplicito riferimento alla pronuncia n. 85/2015 e al principio di eguaglianza, riconosciuto come strettamente collegato al principio dell’impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici, impignorabilità “posta a tutela dell’interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita”.


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1Il Tribunale di Brescia ha posto la questione di legittimità costituzionale nell’ambito di un procedimento d’esecuzione mobiliare nel corso del quale, il creditore procedente, con atto notificato il 9 dicembre 2014 e iscritto al ruolo il 9 gennaio 2015, aveva pignorato il saldo attivo del conto corrente bancario, intestato all’esecutato, sul quale venivano accreditati i ratei dell’assegno sociale. Infatti, secondo la disciplina all’epoca vigente, le somme erogate a titolo di pensione o altri emolumenti pensionistici o assistenziali, e, dunque, confluite nel patrimonio del percettore, allorché depositate presso istituti di credito e quindi disciplinate dall’art. 1834 del codice civile, erano pienamente assoggettabili a espropriazione forzata. Nel corso del procedimento è entrato in vigore il D.L. n. 83 del 2015 che, tra l’altro, con l’art. 13, comma 1, lettera l), ha aggiunto all’art. 545 cod. proc. civ. i commi settimo, ottavo e nono (sopra riportati). In forza del principio tempus regit actum, il giudice adito avrebbe perciò potuto dichiarare l’impignorabilità del saldo attivo del conto corrente bancario intestato al debitore esecutato, alimentato esclusivamente dall’assegno sociale mensile a questi spettante, in quanto all’esiguo saldo attivo presente alla data del pignoramento si erano aggiunti solo due ratei erogati nei mesi successivi. Invece, in virtù della norma transitoria di cui all’art. 23, comma 6, del suddetto D.L. n. 83 del 2015 - secondo cui “le disposizioni di cui agli articoli 12 e 13, comma 1, lettere d), l), m), n), si applicano esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto” - poiché, in base all’art. 491 cod. proc. civ., l’espropriazione forzata “si inizia col pignoramento”, e, nel caso di specie, il pignoramento era stato notificato all’istituto di credito il 9 dicembre 2014 e al debitore il successivo 23 dicembre, il processo esecutivo di cui in parola è risultato instaurato antecedentemente al 27 giugno 2015, data di entrata in vigore del D.L.83/2015, e, pertanto, non rientrante nell’ambito applicativo della novella.
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