Con l’introduzione dell’art. 10-bis della L. n. 212/00 ad opera del D.lgs. n. 128/15, e la modifica dell’art. 4 del D.lgs. n. 74/00 da parte del D.lgs. n. 158/15, il contribuente può chiedere al giudice dell’esecuzione la revoca della sentenza definitiva di condanna per il reato di dichiarazione infedele, ove basata su una condotta costituente mero abuso del diritto.
Si ricava dalla
sentenza n. 9378/18 pubblicata ieri dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.
L’amministratrice di una società in accomandita semplice ha patteggiato la pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., in relazione al reato di dichiarazione infedele, addebitatole per aver omesso di indicare nella dichiarazione dei redditi gli utili percepiti e i corrispettivi della cessione della propria quota, per complessivi euro 1.075.983,50, con un omissione d’imposta di oltre 458 mila euro.
La Difesa, in ragione della Riforma in materia di abuso del diritto, ha agito per la revoca della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 673 c.p.p., evidenziando che, secondo quanto stabilisce il comma 13 dell’art. 10-bis L. 212/00, le operazioni meramente abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie:
- questa disposizione, secondo la Difesa, è applicabile al caso di specie, posto che le operazioni contestate erano esistenti e avevano esclusivamente lo scopo di conseguire un indebito vantaggio fiscale.
Ebbene, il Tribunale di Trento ha rigettato la domanda di revoca della condanna, ritenendo
inesistenti le operazioni poste in essere in ragione della realizzazione di schermi societari attraverso l'utilizzo di prestanomi e a causa del perseguimento di finalità extratributarie.
Ad avviso degli Ermellini, però, la valutazione del giudice di merito, innanzitutto, non ha tenuto conto della qualificazione giuridica del reato ascritto alla condannata – e cioè quello di cui all'art. 4 d.lgs. 74/2000. Il Tribunale, infatti, è pervenuto una diversa qualificazione giuridica della condotta (art. 3 D.lgs. 74/00),
“non consentita in sede esecutiva se la riconducibilità della condotta a detta fattispecie non ha, come nel caso in esame, mai formato oggetto di accertamento e di formale contestazione nel giudizio di cognizione.” (Cass. n. 4461/2015).
In secondo luogo, la valutazione del Tribunale non ha tenuto conto del fatto che le operazioni con finalità elusive che hanno comportato l’infedeltà della dichiarazione presentata sono state effettivamente realizzate, e che quindi
“alla luce della nuova disposizione menzionata (ndr. art. 10 bis, L. 212/00), impedirebbero di ritenere configurabile il reato di cui all’art. 4 d.lgs. 74/00 ascritto alla ricorrente.”
E allora i Giudici di legittimità hanno annullato l’ordinanza impugnata, e rinviato al Tribunale, affinché rivaluti il fatto nelle sue effettive connotazioni, verificando
“se siano effettivamente state poste in essere operazioni con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte, o riferite a soggetti fittiziamente interposti, o se invece le operazioni che hanno determinato la dichiarazione infedele della ricorrente siano state meramente elusive, se, cioè, sia solamente stato adottato uno schermo negoziale articolato allo scopo di conseguire un indebito vantaggio fiscale, in relazione, però, a operazioni realmente verificatesi, che ne determinerebbe l’irrilevanza penale prospettata dalla ricorrente.”
Nel caso di specie, anche il Procuratore Generale si è espresso a favore dell’annullamento dell’ordinanza impugnata, evidenziandone la contrarietà ai principi interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di abuso del diritto ed elusione fiscale, in rapporto alle fattispecie penali, in particolare a quella ex art. 4 D.lgs. n. 74/00, la cui portata è stata delimitata in negativo sia dalle modifiche introdotte dal D.lgs. n. 158 del 2015 sia dal D.lgs. n. 128 dello stesso anno.