11 aprile 2019

Metodo di accertamento su cessioni immobiliari

Autore: Giovambattista Palumbo
Nella valutazione degli indizi il giudice di merito deve seguire un corretto procedimento logico, laddove la gravità, precisione e concordanza vanno desunti da un esame complessivo della fattispecie. L'accertamento di un maggiore reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell'atto di compravendita ed il valore normale del bene, quale risultante dalle quotazioni OMI, che rappresenta una presunzione semplice. Ma l’accertamento sarà fondato se poggia su una serie di elementi di riscontro probatorio, volti ad evidenziare una disomogeneità tra i prezzi dichiarati negli atti di cessione ed il valore effettivo dei beni.

Il caso
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 7820 del 20/03/2019, ha chiarito importi profili in tema di accertamento su cessioni immobiliari.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società contribuente avviso di accertamento, per l'anno 2005, con il quale rettificava i ricavi dichiarati dalla società, derivanti dalla vendita di unità immobiliari, sulla base di un accertamento analitico-induttivo, risultando i prezzi dichiarati negli atti di cessione contrastanti con una serie di elementi, quali gli annunci pubblicitari su riviste locali, una lettera di disdetta dell'incarico di mediazione immobiliare per una villetta a schiera, la documentazione extra contabile per "appartamento tipo", dalla quale si desumeva una valutazione degli immobili superiore a quella risultante dagli atti di cessione, la differenza fra l'importo del mutuo ed il prezzo dell'immobile e la incongruenza dei prezzi rispetto alle stime dell'Osservatorio del Mercato Immobiliare.

La società proponeva ricorso avverso l'atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che lo accoglieva parzialmente, rideterminando i maggiori ricavi accertati.

Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello principale la contribuente ed appello incidentale l'Ufficio, che chiedeva la conferma integrale dell'avviso di accertamento.

La Commissione Tributaria Regionale accoglieva il primo motivo dell'appello principale, concernente i maggiori ricavi derivanti dalle vendite di immobili, rigettando il secondo motivo e l'appello incidentale, ed osservando che:
  • i ricavi dichiarati per gli anni 2003, 2004 e 2005, concernenti la vendita degli immobili e gli altri elementi esposti in dichiarazione, rapportati agli studi di settore, erano risultati congrui e coerenti per tutti i periodi;
  • i prezzi degli immobili indicati negli annunci pubblicitari non erano, da soli, elementi significativi, idonei a legittimare la rettifica, considerato che nessuna vendita si era perfezionata entro le scadenze da essi indicate e, soprattutto, che erano stati pubblicizzati in funzione delle trattative da instaurare con i possibili acquirenti, per cui l'Ufficio avrebbe dovuto supportare lo scostamento fra valori dichiarati e valori indicati nelle inserzioni mediante indagini volte ad acquisire la prova di pagamenti "in nero" di somme di denaro o di versamenti o prelievi bancari sospetti;
  • con l'approvazione della legge comunitaria 2008 il riferimento al "valore normale" quale strumento di accertamento automatico del corrispettivo di cessione degli immobili era stato eliminato sia dall'art. 54, comma 3, del Dpr. n. 633/1973, ai fini Iva, e sia dall'art. 39, comma 1, lett. d), del Dpr. n. 600/1973, ai fini delle imposte dirette, sicché la difformità fra il corrispettivo di cessione ed il valore normale rappresentava solo una mera presunzione semplice.

I giudici di secondo grado ritenevano, pertanto, che l'avvenuto utilizzo dei listini OMI, alla base dell'accertamento analitico presuntivo, unitamente agli altri elementi esaminati, non potessero legittimare l'accertamento.

Avverso tale sentenza l'Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), del Dpr. n. 600/1973 e 2697 cod. civ., nonché omessa ed insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio.

Sosteneva infatti l’Amministrazione finanziaria che i giudici di appello non avevano preso in considerazione tutte le circostanze di fatto indicate nell'atto impositivo ed avevano trascurato di fornire esaustive spiegazioni in ordine alla documentazione extra contabile, che provava il valore degli immobili oggetto delle compravendite concretizzate qualche mese dopo gli annunci pubblicitari, non tenendo peraltro tenuto conto della lettera di disdetta indirizzata alla società immobiliare, da cui risultava un pregresso incarico di intermediazione per la cessione, ad un corrispettivo maggiore, di un immobile avente le medesime caratteristiche di quelli oggetto di verifica.

Infine, la Commissione Tributaria Regionale non aveva neppure valutato che, per l'acquisto di una villetta su tre piani, uno degli acquirenti aveva acceso un mutuo di euro 180.000,00, garantito da ipoteca sull'immobile per un valore di euro 360.000,00.

La decisione
Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato. Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l'accertamento si fondava su indizi idonei alla costituzione della prova presuntiva richiesta dall'art. 39, comma 1, lett. d), del Dpr. n. 600 del 1973, essendo la sentenza anche carente sotto il profilo motivazionale, avendo valorizzato elementi privi di rilievo probatorio.

Il giudice di merito, evidenzia la Corte, nella valutazione degli indizi deve seguire un corretto procedimento logico, laddove la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti da un esame complessivo, in un giudizio non atomistico, individuando gli indizi significativi, da collocarsi in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall'altro in vicendevole completamento (cfr., Cass. n. 12002 del 16/5/2017; Cass. n. 5374 del 2/3/2017; Cass. n. 9059 del 12/04/2018), fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.

Nel caso in esame, la CTR aveva giustamente posto in evidenza che la difformità fra il corrispettivo di cessione ed il valore normale desunto dalle quotazioni OMI rappresentava solo una mera presunzione semplice, uniformandosi all'orientamento della Corte, che è ferma nel ritenere che, a seguito della eliminazione della presunzione legale relativa (introdotta dall'art. 35, comma 3, del D.L. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi, l'esistenza di attività non dichiarate può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti, con la conseguenza che l'accertamento di un maggiore reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell'atto di compravendita ed il valore normale del bene, quale risultante dalle quotazioni OMI (Cass. n. 9474 del 12/4/2017).

E, tuttavia, nella specie, l'accertamento svolto dall'Ufficio, come puntualmente evidenziato dalla ricorrente, non era fondato sui soli valori OMI, ma poggiava su una serie di elementi di riscontro probatorio, tutti volti ad evidenziare una "disomogeneità" tra i prezzi dichiarati negli atti di cessione ed il valore effettivo dei beni.

Conclusioni
I giudici di appello non avevano quindi adeguatamente preso in esame tutti gli elementi offerti dall'Ufficio, che, costituendo un quadro di circostanze astrattamente suscettibile, per gravità, precisione e concordanza, di legittimare la determinazione induttiva del reddito e, quindi, di orientare diversamente il giudizio, imponeva di esplicitare in modo più esaustivo e puntuale il percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione.

Infatti, anche a voler escludere ogni rilevanza ai valori OMI, a fondare l'accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili è sufficiente, come ribadito costantemente dalla Cassazione, anche soltanto lo scostamento tra il minor prezzo indicato nell'atto di compravendita e l'importo del mutuo erogato all'acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova (Cass. n. 14388 del 9/6/2017), laddove anche un solo fatto - qualora presenti i requisiti della gravità e precisione – può essere idoneo per una tale deduzione (Cass. n. 2082 del 30/1/2014; Cass. n. 4472 del 26/3/2003).

La CTR aveva inoltre omesso di considerare anche altri elementi, tra cui, come detto, la lettera di disdetta dall'incarico di mediazione immobiliare, la documentazione extra contabile per "appartamento tipo", dalla quale emergeva una valutazione degli immobili oggetto di cessione superiore a quella risultante dagli atti di compravendita, non facendo buon governo del materiale probatorio acquisito nel corso del giudizio di merito ed incorrendo nel vizio di insufficiente motivazione.
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