29 settembre 2018

Omesso versamento Iva: procedura concorsuale, dolo e cause di non punibilità

Autore: Simone Carunchio
Con la sentenza n. 40217/2018, la Corte di cassazione penale, sez. 3, pubblicata il 10 settembre, ha stabilito, in relazione al reato di omesso versamento IVA ex art. 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000, che la causa di non punibilità prevista dall’art. 13 del medesimo decreto non può applicarsi al caso in esame poiché le somme versate all’amministrazione finanziaria a seguito di transazione fiscale, qualora non siano imputate all’imposta sul valore aggiunto, non provano il pagamento del tributo. Inoltre ha ribadito che l’elemento soggettivo del dolo, che integra la fattispecie del reato in parola, si configura attraverso la consapevolezza di omettere il versamento dell’imposta a prescindere dalle condotte successive del debitore a partire dal momento di consumazione del reato.

La vicenda analizzata dai giudici è la seguente: il legale rappresentante di una società aveva omesso il versamento di un’IVA di oltre 500.000 € nel 2010 (termine ultimo 27 dicembre) che era stata indicata in dichiarazione regolarmente inviata. Nel gennaio 2011 aveva poi presentato istanza di ammissione a un concordato preventivo con transazione fiscale (artt. 160 e ss. e 182-ter del R. D. n. 267/1942), accolta poi dal tribunale nell’ottobre del 2011. La transazione fiscale era stata successivamente conclusa nell’aprile del 2012 in riferimento sia all’IVA sia ad altre imposte riferite ad annualità precedenti e il concordato era stato omologato nell’ottobre 2012.

Nell’aprile del 2017 il contribuente era stato condannato, dal Tribunale, a sei mesi di reclusione per il reato di omesso versamento IVA, ai sensi dell’art. 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000, e la sentenza era stata confermata dalla Corte di appello.

Contro questa sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione.

Un motivo atteneva all’applicazione dell’art. 13 del D. Lgs. n. 74/2000, in base al quale è esclusa la punibilità del reato in parola qualora i debiti tributari, incluse sanzioni e interessi, siano estinti mediante integrale pagamento, anche se a seguito di procedure conciliative e di adesione.

Gli ermellini hanno affermato che la causa di non punibilità in parola non può applicarsi al caso in esame perché il debito scaturente dalla transazione era stato rateizzato e le prime due rate (benché nel complesso di somme superiori al debito IVA non pagato per tempo) non riportavano il titolo di imputazione delle somme in relazione ai diversi tributi oggetto di transazione.

Questo assunto pare basarsi sul carattere novativo della transazione, per cui, una volta che essa si è perfezionata, il titolo di pagamento non è più quello originario.

Questa impostazione è alla base del respingimento anche dell’altro motivo di ricorso del contribuente, con il quale egli aveva lamentato che la Corte di appello non aveva tenuto in debito conto il fatto che appena dopo la scadenza del pagamento dell’acconto dell’IVA, egli stesso aveva presentato domanda di ammissione al concordato preventivo, dimostrando così la sua buona fede e l’assenza di dolo in relazione all’omesso pagamento.

I giudici, ricordando che il reato di cui all’art. 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000 è un reato istantaneo che si consuma al momento della scadenza del termine del pagamento e che l’elemento soggettivo del dolo, configurandosi quale ‘semplice’ consapevolezza della condotta omissiva, può essere escluso solo qualora l’imputato dimostri che il mancato pagamento è derivato da fatti non imputabili all’imprenditore, ai quali il medesimo non poteva porvi rimedio tempestivamente per cause indipendenti dalla sua volontà (cfr. Cass. pen. nn. 40440/2018, 43599/2015, 20266/2014, 8352/2014, 5467/2013), affermano che, poiché l’ammissione al concordato è successiva alla scadenza prevista per il versamento, essa non è idonea a escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo in parola.

Questa statuizione conferma che se l’imprenditore fosse stato ammesso al concordato preventivo e alla transazione fiscale prima del momento di configurazione del reato egli non sarebbe stato condannato, poiché, in sostanza, all’‘accordo’ contribuente-fisco deve essere riconosciuta una valenza novativa del titolo di pagamento.

Questa impostazione è confermata da numerose altre sentenze della Corte di cassazione penale (tra le quali le nn. 39696/2018, 268/2018, 52542/2017, 12912/2016, 22127/2015) le quali tutte concernono proprio il reato di omesso versamento IVA.

L’amministrazione finanziaria, invece, sul punto pare più prudente. Nella Circolare n. 16/E/2018, mentre in modo non manifesto pare aderire a quanto espresso dalla Cassazione penale, in merito al carattere novativo della transazione innestata nella procedura del concordato preventivo, esclude radicalmente che esso possa realizzarsi qualora la medesima sia innestata nella procedura di accordo di ristrutturazione dei debiti.

Questa pronuncia in commento, però - ecco la novità principale -, mette in mostra anche l’altra faccia della medaglia di questo carattere novativo: modificandosi il titolo di pagamento, infatti, non è più chiaro, in genere, a quale tributo le somme corrisposte debbano essere riferite e, pertanto, risulta esclusa alla radice l’applicabilità della causa di non punibilità ex art. 13 del D. Lgd. N. 74/2000. In questo senso sarebbe prudenziale richiedere all’ufficio di indicare a quali voci debitorie debba essere iscritto il pagamento (anche, eventualmente, di ciascuna rata in caso di dilazione).
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