24 aprile 2018

Pizzeria e abitazione collegate. accesso senza gravi indizi

Autore: Paola Mauro
Quando i locali destinati all’attività commerciale sono “collegati” all’abitazione del contribuente, non è motivo di nullità dell’avviso di accertamento il fatto che l’accesso sia avvenuto in base a un provvedimento autorizzatorio che non fa menzione di gravi indizi di violazioni tributarie.

È quanto emerge dall’ordinanza n. 7723/2018 emessa dalla Sesta Sezione Civile – T della Corte di cassazione.

Una ristoratrice è divenuta destinataria di un avviso di accertamento per IVA e II.DD. 2008 basato sui dati raccolti dalla Guardia di finanza nel corso di un accesso.

La contribuente ha eccepito la nullità dell’atto impositivo per carenza motivazionale dell’autorizzazione rilasciata dal P.M.:
  • posto che la verifica si era estesa all’abitazione privata, anche se l'Autorità Giudiziaria non aveva motivato in ordine alla sussistenza di "gravi indizi" di violazione delle norme tributarie.

L’attività ispettiva dell’Amministrazione finanziaria trova la sua disciplina negli articoli 52 del D.P.R. n. 633 del 1972 - in materia di IVA - e 33 del D.P.R. n. 600 del 1973 - in materia di imposte sui redditi. Le modalità dell’accesso si differenziano in base alla natura del locale da ispezionare: occorre distinguere tra luoghi adibiti esclusivamente all’esercizio dell’attività dell’impresa, per cui è richiesta l’autorizzazione del capo dell’ufficio; locali utilizzati promiscuamente (per le esigenze connesse all’attività svolta e a fini abitativi), per cui all’autorizzazione del capo dell’ufficio si aggiunge quella della Procura; luoghi diversi dai precedenti, prevalentemente identificabili con l’abitazione del contribuente, per cui è richiesta sia l’autorizzazione del capo dell’ufficio sia quella della competente Procura, che la rilascia in presenza di gravi indizi di violazioni tributarie.

Ebbene, nel caso che ci occupa, la CTR della Sicilia ha annullato l’atto impositivo rivolto alla ristoratrice avendo escluso il carattere "promiscuo" dei locali visitati dalla Guardia di Finanza.

Dal che il ricorso per cassazione dell'Agenzia delle entrate che è stato accolto.

I Massimi giudici hanno osservato che: «In tema di accertamento dell'IVA, l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall'art. 52, primo e secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai fini dell'accesso degli impiegati dell'Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell'esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest'ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo. Tale ultima destinazione ricorre non soltanto nell'ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l'attività professionale, ma ogni qual volta l'agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell'attività commerciale nei locali abitativi» (tra le altre, Cass. civ. Sez. VI - 5, ord. n. 28068 del 16/12/2013).

La CTR, quindi, ha applicato male la legge, perché ha trascurato di considerare quanto evidenziato dall’Agenzia delle entrate:
  • l’esistenza di un "collegamento interno" tra la parte di immobile destinata all'uso imprenditoriale con quella destinata all'uso abitativo privato.

Scrive la Suprema Corte: «La CTR siciliana ha deciso in difformità al principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale. Il giudice tributario di appello infatti si è espresso in ordine alla autonomia delle due parti dell'edificio presso il quale è stato operato l'accesso de quo, essendo il piano terra adibito ad attività di pubblico esercizio, il piano primo a residenza famigliare della contribuente. Tuttavia ha eluso la questione della "promiscuità" dei due distinti locali ed in particolare non ha in alcun modo valutato l'allegazione agenziale che ricorresse tale circostanza per il fatto che esisteva un collegamento interno che consentiva l'accesso/recesso dal piano terra al piano primo. La CTR quindi ha male applicato la disposizione legislativa procedimentale oggetto della censura in esame, non giustificando adeguatamente l'applicazione del secondo comma in luogo del primo.»

Alla luce di questi rilievi la parola è tornata al Giudice di appello.
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