28 luglio 2018

Reddito non dichiarato. Per il “vip” la prova è più difficile

Cassazione Tributaria, ordinanza depositata il 27 luglio 2017

Autore: Paola Mauro
La Corte di Cassazione (Sez. V civ., Ord. n. 19957 del 27 luglio 2018) ha affermato che l’esistenza di un reddito professionale non dichiarato, con riferimento a un contribuente “vip”, non può essere legittimamente desunta da elementi indiziari non univoci, quali la fama e la notorietà a livello nazionale ed estero.

La controversia rispetto alla quale si è pronunciata la Suprema Corte si trascina da molti anni e ancora non si è chiusa.
La causa è stata rinviata alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, affinché provveda «ad un’adeguata motivazione in ordine agli elementi di fatto, da cui è possibile evincere se sussistono elementi concreti idonei a giustificare il maggior reddito ritenuto sussistente dall’Amministrazione».

Il maggior reddito in questione – 77.000.000 di lire per attività professionali – è stato accertato induttivamente e ha portato all’emissione di un avviso di accertamento a fini Irpef per il 1976 che il contribuente – noto direttore d’orchestra recentemente scomparso – ha prontamente impugnato, ma senza successo.

Ebbene, nel giudizio di legittimità, il difensore ha fatto bene a dedurre la violazione delle norme sulla ripartizione dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente e sulla prova per presunzioni, che deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti; mentre nel caso di specie la C.T.C. non ha considerato che l’accertamento presuntivo dell’Amministrazione finanziaria si è basato non su dati certi e univoci, ma solo sulla considerazione della «fama nazionale ed internazionale del maestro» e sull’asserita «intensa presenza sul mercato internazionale».

In particolare, I Massimi giudici hanno evidenziato che l'accertamento in rettifica, secondo il metodo analitico-induttivo, è consentito, purché risulti fondato su presunzioni assistite dai requisiti previsti dall'art. 2729 cod. civ. e desunte da dati di comune esperienza, oltre che da concreti e significativi elementi offerti dalle singole fattispecie.

Nel caso in esame, invece, la motivazione della C.T.C., valorizzando, ai fini della determinazione induttiva del reddito, unicamente la natura dell'attività svolta e la fama a livello internazionale del contribuente, non ha chiarito in maniera sufficiente il complesso degli elementi fattuali, precisi e concordanti, da cui ha tratto la conseguenza dell'esistenza di un ulteriore reddito non dichiarato; «la notorietà del maestro», scrivono gli Ermellini, «e l’attività internazionale sono circostanze generiche ed astratte, che non danno contezza del percorso logico giuridico seguito dal giudice per venire alla determinazione della sussistenza di un maggior reddito non dichiarato, quantificato nella precisa misura di lire 77.000.000».

Sebbene l'elemento indiziario relativo alla natura dell'attività e al prestigio internazionale del contribuente è sicuramente significativo, questo andava valutato dalla C.T.C. – scrivono sempre gli Ermellini -«unitamente ad altri elementi che univocamente potessero far presumere che il contribuente avesse effettivamente, per l'anno di imposta in contestazione, svolto attività ulteriori, rispetto a quelle denunciate, in particolare con la dichiarazione integrativa, per le quali poteva giustificarsi l'attribuzione di un ulteriore reddito (non dichiarato) di importo determinato il 77 milioni di lire».

In definitiva, il ricorso di legittimità viene accolto e la causa rinviata alla C.T.R. di Milano, per nuovo esame, in quanto nella sentenza annullata è mancata l’indicazione di fatti univoci, espressivi di elementi apprezzabili e valutabili attraverso il ragionamento presuntivo, posto che la C.T.C. ha individuato sostanzialmente nella notorietà del contribuente l’elemento determinate della quantificazione in presuntiva del reddito.
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