11 giugno 2018

Rifiuto mansioni aggiuntive: il licenziamento è legittimo?

Autore: Debhorah Di Rosa
La Corte di Cassazione è tornata ad intervenire sul delicato nodo dell’equilibrato bilanciamento tra il potere organizzativo attribuito dalla legge al datore di lavoro e la tutela della salute e della serenità del lavoratore, in quanto soggetto “debole” per definizione nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato. In particolare, con la sentenza n. 12094 del 17 maggio 2018, la Suprema Corte è arrivata alla conclusione che una mancata obbedienza del lavoratore ad un ordine del datore può risultare a posteriori giustificata, purché sia motivata dal fatto che il dipendente sia già oberato dalle mansioni svolte ordinariamente.

Il caso di specie - Il caso esaminato dai giudici di legittimità riguardava un’azienda che ha chiesto al lavoratore, avente mansioni di guardia giurata, di svolgere, in aggiunta alla normale attività di vigilanza, anche la riscossione delle fatture dei clienti, compito non rientrante nell’inquadramento del dipendente. Il lavoratore ha rifiutato l’attribuzione della nuova mansione, sostenendo di osservare già orari di lavoro massacranti e reiterando la richiesta, avanzata da mesi, di essere esonerato dagli incarichi aggiuntivi, in modo da avere la possibilità di riposarsi e dedicarsi di più alla famiglia. Il datore di lavoro, qualificando tale rifiuto come una grave insubordinazione, ha intimato al prestatore un provvedimento di licenziamento disciplinare.

Il parere di legittimità - La Cassazione, confermando la statuizione della Corte di Appello, ha affermato che i provvedimenti datoriali non sono assistiti, ipso facto, da una presunzione di legittimità che ne impone l’ottemperanza fino ad un contrario accertamento in giudizio.
Pertanto, secondo la sentenza, un’inobbedienza del lavoratore può risultare a posteriori assolutamente giustificata.

In particolare, l’inadempimento degli obblighi contrattuali va escluso di fronte ad una situazione personale che denota l’impossibilità oggettiva del prestatore a svolgere le attività per cui lo stesso ha espresso il proprio diniego.

Il rifiuto del dipendente, già oberato, ad adempiere a nuovi compiti, non costituisce insubordinazione e non può, quindi, essere utilizzato quale giustificazione per un licenziamento disciplinare.

A parere dei giudici di legittimità, dunque, il rifiuto opposto dal lavoratore, se non pretestuoso ma motivato da una “oggettiva impossibilità” di svolgere i nuovi compiti assegnati, rientra nel campo della valutazione oggettiva del dipendente, che non deve e non può essere giudicato inadempiente rispetto a determinati obblighi contrattuali.

A fondamento di ciò, anche il fatto che lo stesso lavoratore avesse chiesto una turnazione differente, proprio per poter svolgere anche il servizio aggiuntivo; il che è indicativo di un rifiuto tutt’altro che immotivato o pretestuoso, ma posto in relazione ad una oggettiva impossibilità di svolgere sic stantibus l’ulteriore compito.
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