22 marzo 2018

Sanatoria dell’atto di appello in caso di difetto di sottoscrizione

Autore: Giovambattista Palumbo
In caso di un primo atto di appello viziato dalla mancata autenticazione della sottoscrizione del soggetto che ha conferito l'incarico, il vizio è sanato dalla successiva, tempestiva, notifica di un nuovo atto di appello, che il giudice, in assenza di pronuncia di inammissibilità del primo, non può ignorare. E in ogni caso il giudice avrebbe dovuto attivare il meccanismo di regolarizzazione dell'incarico al difensore, previsto dall'art. 12, comma 5, d.lgs. n. 546 del 1992, ed applicabile anche al giudizio di appello.

Il caso - La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 4754 del 28/02/2018, ha chiarito quali sono i presupposti di sanatoria di un atto di appello privo di sottoscrizione autenticata del contribuente.

Nel caso di specie la CTR dichiarava inammissibile l'appello proposto dalla società contribuente avverso la sentenza di primo grado, per «irregolarità della sottoscrizione dell'atto», in quanto non risultava autenticata la firma del soggetto che aveva conferito l'incarico difensivo.

La società deduceva la violazione degli artt. 132 e 112 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciare sul secondo atto di appello, riunito al primo, che la stessa aveva proposto nei termini per sanare il vizio rinvenibile nel primo appello, di omessa certificazione della autografia della sottoscrizione del legale rappresentante della società in calce all'incarico conferito al difensore abilitato.

La contribuente deduceva inoltre la violazione degli artt. 12, comma 3, 18, commi 3 e 4, 22, comma 5, d.lgs. n. 546 del 1992 e 182 c.p.c., sostenendo che la CTR aveva erroneamente dichiarato l'inammissibilità del primo atto di appello per difetto di procura, omettendo di assegnare alla parte un termine per sanare l'irregolarità.

La decisione - Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era fondato.

Nella specie era infatti pacifico che il primo atto di appello era viziato dalla mancata autenticazione della sottoscrizione del soggetto che aveva conferito l'incarico al difensore abilitato e che la società contribuente, per sanare il predetto vizio, aveva provveduto a notificare alla controparte, nei termini, un nuovo atto di appello, che la CTR aveva riunito al primo.

In tale situazione processuale il giudice d’appello non poteva ignorare, come invece aveva fatto, il secondo atto di appello, in relazione al quale avrebbe comunque dovuto emettere una qualche pronuncia, in quanto impugnazione tempestivamente riproposta (entro il termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, che equivaleva alla conoscenza legale della decisione impugnata — cfr. Cass. n. 22957 del 2010 e Cass. n. 2478 del 2016), in assenza di pronuncia di inammissibilità del primo.

E ciò in virtù del principio giurisprudenziale in base al quale la notifica di una secondo atto di appello non consuma il potere di impugnazione, atteso che la consumazione del diritto di impugnazione presuppone l'esistenza - al tempo della proposizione della seconda impugnazione - di una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità della precedente, per cui, in mancanza di tale (preesistente) declaratoria, è legittimamente consentita la proposizione di un'altra impugnazione (di contenuto identico o diverso) in sostituzione della precedente viziata, purché il relativo termine non sia decorso.

E del resto, evidenzia ancora la Corte, che anche se la CTR avesse ritenuto il secondo atto di appello non idoneo a sanare il vizio del primo, avrebbe dovuto comunque attivare il meccanismo di regolarizzazione dell'incarico al difensore, previsto dall'art. 12, comma 5, d.lgs. n. 546 del 1992, in tal senso essendosi recentemente espressa anche la stessa Cassazione (cfr. Cass., Sez. U., n. 29919 del 2017), che ha affermato che «non sussistono preclusioni ermeneutiche ostative all'applicabilità anche al giudizio di appello dell'art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992», con la conseguenza che quando in tale giudizio la parte, già munita di assistenza tecnica in primo grado, ne sia invece priva, la CTR deve impartire le disposizioni necessarie per consentire al ricorrente di regolarizzare la propria posizione processuale.

Osservazioni - In base al precedente indirizzo giurisprudenziale, l'ordine al contribuente di munirsi di assistenza tecnica poteva essere impartito soltanto nel giudizio di primo grado, come si desumeva anche dal tenore letterale dell'art. 12 cit., che si riferisce espressamente alla proposizione delle controversie, e non alla prosecuzione dei giudizi (cfr Cass. n. 20929 del 2013; Cass. n. 26851 del 2014).

Rilevato tuttavia un contrasto giurisprudenziale con tale linea di "chiusura" (Cass. n. 21459 del 2009 e n. 1100 del 2002) e non condividendo comunque le conclusioni del prevalente indirizzo, con l’Ordinanza n. 10080 del 21.04.2017, la Sez. V della Corte aveva richiesto, per il tramite del Primo Presidente, l'intervento delle Sezioni unite.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'invito al contribuente a dotarsi di assistenza tecnica riguardava solo il primo grado di giudizio, oltre a contrapporsi ad una interpretazione della predetta disposizione "in una prospettiva costituzionalmente orientata", non pareva più in linea neppure con la tendenza al generale "salvataggio", con effetti ex tunc, chiaramente manifestato dal Legislatore con la modifica dell'art. 182 c.p.c., introdotta dalla legge n. 69 del 2009.

E questo anche considerato che il d.lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. e), ha interamente riscritto l'art. 12 d.lgs. n. 546 del 1992, e, con il comma 10, ha disciplinato le ipotesi di difetto di rappresentanza o di autorizzazione, rinviando espressamente alle disposizioni contenute nell'art. 182 c.p.c. (sicuramente applicabile anche nel giudizio di appello - cfr. Cass. n. 3894 del 2017, che richiama Cass. n. 19169 e n. 11359 del 2014).

Più volte la Cassazione (vedi anche la sentenza n. 21170/2005) ha del resto affermato che le disposizioni che sanciscono l'inammissibilità del ricorso debbono essere interpretate ed applicate in armonia con i principi della Costituzione e, in particolare, con il diritto alla difesa in giudizio, applicando la sanzione estrema dell'inammissibilità solo quando siano lesi profili sostanziali del contraddittorio processuale.
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