L'amministratrice di un'azienda veniva condannata ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. n. 74/2000 per avere omesso di effettuare il pagamento dell'imposta Iva, conseguente all'attività d'impresa esercitata dalla società, nella quale ella svolgeva la funzione di amministratrice.
L'imputata, pertanto, ricorreva per Cassazione deducendo tra gli altri motivi, individuati nell'atto introduttivo del giudizio, anche uno relativo all'impossibilità di effettuare il pagamento dell’imposta Iva.
Rappresentava, sul punto, la ricorrente, come la mancata esecuzione della normativa tributaria che le imponeva il pagamento non dipendeva da una sua volontà colpevole, ma dal grave stato di dissesto in cui versava l'azienda, che rendeva impossibile l'esecuzione degli obblighi tributari.
La condotta prevista dall'art.10 d.lgs. n. 74/2000, pertanto, non le poteva essere contestata, dato l'effetto esimente dello stato di dissesto dal quale sicuramente discendeva la forza maggiore, considerata dal Codice penale causa scriminante dalla responsabilità penale.
A fondamento della propria tesi difensiva deduceva come ella stessa avesse ad ogni modo posto in essere una serie di condotte dirette a scongiurare lo stato di dissesto che non le poteva ad ogni modo essere imputato.
Rappresentava sul punto, come nella sua funzione di amministratrice, aveva dato corso ad una trasformazione societaria il cui scopo era quello di ripristinare l'operatività ed i ricavi dell'azienda, così da poter far fronte a tutti gli obblighi conseguenti all'esercizio dell'attività d'impresa tra i quali, come ovvio, vi rientra anche il pagamento delle obbligazioni tributarie.
Il procedimento, dopo aver effettuato il suo corso, veniva deciso da parte degli ermellini con la sentenza n. 8524/2019.
La questione dell'efficacia scriminante è stata frequentemente dibattuta per la sua importanza ed è stata più volte portata all'esame dei giudici della Corte Suprema di Cassazione i quali ne hanno dato una soluzione uniforme, definendo con precisione gli effetti dello stato di dissesto aziendale.
Gli ermellini erano giunti alla sua soluzione partendo dalla definizione del concetto di forza maggiore previsto dal codice penale, il quale si configura nel solo caso la sua esistenza consegua a fattori indipendenti dalla volontà del reo e ai quali quest'ultimo non possa comunque farvi fronte.
L'ipotesi è ben distante da quella che ricorre nel caso di specie, dato che la determinazione dello stato dissesto aziendale in parte derivava da condotte comunque ascrivibili all'imputata.
Sul punto, infatti, osservano i giudici della Corte suprema di Cassazione come quest'ultima avesse comunque provveduto a versare le retribuzioni ai dipendenti della società amministrata aggravando lo stato di crisi aziendale, già in corso di sviluppo, dal quale poi era derivata l'impossibilità di effettuare il pagamento dell'imposta Iva e la conseguente contestazione dei reati che ne sanzionano l'evasione.
I giudici di secondo grado, pertanto, legittimamente avevano condannato l'imputata per il reato di cui all'art. 10 d.lgs. n. 74/2000 sulla base della medesima considerazione espressa anche dagli ermellini nella loro motivazione, dato che lo stato di forza maggiore necessario per la configurabilità dell'effetto scriminante non lo si poteva ritenere esistente posto che la crisi di liquidità in cui versava l'azienda era in parte sicuramente ricollegabile a condotte tenute dalla ricorrente.
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