9 novembre 2018

Stop al “tazzinometro” perché il caffè non è servito solo al bar

Autore: Paola Mauro
La ricostruzione dei ricavi dell’attività di bar con il metodo analitico - induttivo è priva di fondamento, se l’Ufficio non ha tenuto conto del fatto che alcuni dei prodotti considerati, ad esempio il caffè e la birra, sono stati venduti anche all’interno del ristorante e dell’albergo.

È quanto emerge dall’ordinanza n. 27612 del 30 ottobre 2018 in cui la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione affronta la questione dell’accertamento del reddito d’impresa muovendo dai consumi di materie prime.

Nel caso di specie, la S.a.s. contribuente e i suoi soci hanno presentato ricorso alla Suprema Corte evidenziando, fra l’altro, come l’Agenzia delle Entrate, mediante le fatture di acquisto delle singole merci (acqua, vino, birra e altro), abbia determinato il numero di porzioni somministrate nell’attività di bar, senza tenere conto del fatto che l’attività d’impresa si articolava in tre distinti comparti - ossia bar, ristorazione e albergo - gestiti all'interno dello stesso immobile.

La Commissione di secondo grado di Trento, pur avendo rilevato che i medesimi prodotti (caffè, birra e altro) erano stati venduti, non in un solo comparto, ma in più comparti - i caffè e le birre, ad esempio, spesso erano stati addebitati sul conto della camera di albergo -, ha comunque ritenuto che l’errore dell’Ufficio, segnalato dai contribuenti, fosse una mera “imprecisione formale” incapace di incidere sulla validità dell'accertamento effettuato.

In realtà, per gli Ermellini, la motivazione della Commissione regionale è contraddittoria, in quanto, se effettivamente gli organi accertatori hanno errato nell'attribuire a un comparto i proventi relativi a un diverso comparto, da ciò non può non conseguire un errato calcolo dei proventi relativi all'attività di bar.

Per i Massimi giudici, in particolare, una volta che non è contestata la quantità complessiva di caffè acquistata dall'albergo nel suo insieme, dopo che i ricorrenti hanno dimostrato che parte del caffè è stata venduta, oltreché nel comparto bar, anche nei comparti albergo e ristorante, con la produzione in giudizio di tutte le relative fatture, non è possibile ritenere che parte del caffè (cioè quella venduta dal ristorante o addebitata alla camera di albergo) sia stata ceduta "in nero", senza fatturazione.

Nel caso di specie, quindi, non può parlarsi di un’imprecisione solo formale, bensì di un errore che incide sulla “sostanza” dei risultati dell'accertamento, in presenza della prova della fatturazione del prodotto da parte degli altri due comparti (ristorante e albergo).

A parare degli Ermellini, «la motivazione della sentenza impugnata non "sana" la contraddittorietà della precedente affermazione laddove aggiunge, a rafforzare il proprio convincimento, che "ciò è dimostrato dal fatto che, a fronte delle 84.300 porzioni di caffè (sul cui numero parte appellante concorda) l'Ufficio ne ha contemplato soltanto la metà (all'albergo) ritenendo che l'altra metà venisse servita al ristorante o al bar con separata fatturazione", essendo state prodotte in atti le specifiche fatture dell'albergo e del ristorante con l'indicazione del consumo del caffè, anche in tali comparti. Né la motivazione supera la contraddizione iniziale quando precisa che "le separate fatturazioni (documentate con insistenza dagli appellanti) sono state "abbuonate" dall'Ufficio perché il calcolo dell'imponibile relativo all'albergo vede conteggiati soltanto i pernottamenti (senza extra) come pure per il ristorante sono stati conteggiati i pasti ad un prezzo onnicomprensivo di € 10,33". In tal modo, per la Commissione regionale, l'Ufficio, con riferimento all'accertamento induttivo dei ricavi da attività alberghiera, con il computo di presenze da aggiungere a quelle risultanti dalle fatture, ha calcolato l'imponibile senza tenere conto di quanto l'ospite (che si assume non dichiarato) ha pagato per i consumi extra. Di nuovo la motivazione risulta contraddittoria, in quanto seguendo tale ragionamento si avrebbe una duplicazione dei "consumi". Tali consumi risultano, infatti, già fatturati tutti dall'attività di bar, sicché non se ne può tenere conto anche per calcolare l'imponibile del comparto alberghiero o del comparto ristorante».

In definitiva, visto quanto sopra, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento che, in diversa composizione, dovrà esprimersi nuovamente con riferimento alla ricostruzione induttiva dei ricavi relativi al comparto bar.
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