7 aprile 2017

Omessa dichiarazione. Incarico al commercialista “abusivo”

Autore: PAOLA MAURO
In caso di sanzioni applicate per l’omesso invio di plurime dichiarazioni dei redditi, la non punibilità del contribuente, ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 472 del 1997, non si configura nel caso in cui l’incarico sia stato affidato, per più anni, a persona condannata per esercizio abusivo della professione di commercialista. L’affidamento dell’incarico per più anni a persona sprovvista di abilitazione evidenzia sia la culpa in eligendo che in vigilando.

È quanto emerge dalla sentenza n. 6223/17 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.

L’Agenzia delle Entrate, in virtù di accertamenti della Guardia di Finanza concernenti l'omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per diversi anni e l'inosservanza di vari altri adempimenti contabili, ha recuperato le imposte dovute da un contribuente umbro, al quale sono state pure irrogate le sanzioni del caso.

La suddetta pretesa impositiva è stata poi confermata dalla CTR di Perugia, che però ha ritenuto giusto disapplicare le sanzioni, alla luce della buona fede del contribuente, derivante dall'essersi affidato a persona che operava abusivamente come commercialista.

Ebbene, la Cassazione ha escluso la ricorrenza dei presupposti per l’annullamento delle sanzioni.

L'Agenzia delle Entrate si è rivolta ai giudici di legittimità lamentando la violazione e falsa applicazione degli articoli 5 e 6 del D.Lgs. n. 472/97, laddove la CTR ha annullato le sanzioni valorizzando la buona fede del contribuente, manifestatasi nell'affidarsi a una persona che appariva come consulente.

Gli Ermellini hanno condiviso la doglianza dell’Agenzia in quanto, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell'affermazione di responsabilità del contribuente, occorre che l'azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza, e la prova dell'assenza di colpa grava sul contribuente (Cass. n. 11433/2015).

Espressione di queste regola è l'articolo 5 del D.Lgs. n. 472/97, secondo cui “nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. In questo contesto, l'articolo 6 del medesimo decreto, al comma 3, ha codificato un'ipotesi in cui la dimostrazione di determinati fatti integra una presunzione legale assoluta di mancanza di colpevolezza (“Il contribuente, il sostituto e il responsabile d'imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.”) .

Nel caso in esame, secondo la Suprema Corte, non è configurabile la suddetta ipotesi di non punibilità, giacché non si tratta del mero omesso pagamento del tributo, bensì dell'omissione di tutte le attività dichiarative ad esso prodromiche e funzionali. “Inoltre, il contribuente non ha dato prova della mancanza della propria colpevolezza. Senz'altro tale prova non scaturisce dall'essersi affidato ad una persona apparentemente esercente attività di intermediario: ciò in quanto la mancanza di colpevolezza postula assenza di negligenza, di guisa che occorre che il contribuente il quale affidi ad un commercialista il compito di trasmettere le dichiarazioni all'Agenzia delle entrate vigili sulla corretta esecuzione dell'incarico, a meno che non dimostri che l'intermediario abbia mascherato fraudolentemente il proprio inadempimento (da ultimo, in termini, Cass., ord. n. 11832/16). Nel caso in esame non emerge che il contribuente abbia vigilato sul corretto adempimento dell'incarico affidato; anzi, la circostanza che egli abbia affidato per più anni l'incarico a persona sprovvista di abilitazione (e per questa ragione condannata per esercizio abusivo della professione, come riferito in sentenza) evidenzia non solo culpa in eligendo, ma anche in vigilando, in considerazione dell'omissione di qualunque riscontro in ordine allo svolgimento delle attività da espletare.”

La Corte, in conclusione, ha accolto il ricorso del fisco.
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