In breve, la cartella impugnata è stata notificata dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione per il recupero di spese processuali inerenti a un procedimento penale che ha coinvolto anche l’opponente e che sono state iscritte a ruolo da Equitalia Giustizia.
Ebbene, l’opponente ha dedotto il difetto assoluto di motivazione dell’atto e l’assenza di prova della debenza dell’importo intimato, ed entrambe queste eccezioni sono state condivise dal Tribunale, che ha, pertanto, accolto la domanda di annullamento della pretesa.
A questo punto il giudizio è proseguito in Cassazione, ma senza miglior fortuna per il Ministero di Via Arenula.
Gli Ermellini hanno rilevato che la cartella di cui si discute contiene il riferimento alla sentenza del Giudice penale che ha condannato l’opponente al pagamento delle spese processuali e che «l’individuazione, la determinazione e la quantificazione delle spese sono pacificamente avvenute mediante atti che, ancorché richiamati nella cartella (di per sé mancante di specificazioni) o da essa presupposti, non vi risultano essere, né sono, mai stati precedentemente comunicati all’odierno controricorrente.»
Il Supremo Collegio ha aggiunto che all’iniziale mancanza di motivazione dell’atto impugnato non sopperisce nemmeno quella giurisprudenza che – in considerazione della “ratio” dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (garantire il diritto di difesa) e del principio di leale collaborazione tra privato e Amministrazione – attenua le conseguenze del provvedimento carente: infatti, la successiva esternazione di una compiuta motivazione (nella specie integrata dalla produzione nel corso del giudizio del Foglio Notizie da parte di Equitalia Giustizia) è ammessa sì, ma soltanto quando ciò «– non abbia leso il diritto di difesa dell’interessato; – nei casi in cui, in fase infraprocedimentale, risultano percepibili le ragioni sottese all’emissione del provvedimento gravato; – nei casi di atti vincolati» (Cons. Stato, Sent. n. 1018/2014; Cass., Ord. n. 28560/2021).
Ancora, la Corte afferma che, «come il rinvio “per relationem” alla sentenza penale di condanna non è di per sé sufficiente a integrare una congrua motivazione, così la mera conformità della cartella a modelli o schemi fissati in astratto da provvedimenti amministrativi generali o perfino da norme di rango secondario non vale di per sé a garantire la presenza di tutti gli elementi e i dati indispensabili per la compiuta estrinsecazione del diritto di difesa del soggetto a cui l’atto si rivolge con la minaccia di un’esecuzione forzata.»
Nel caso di specie, dunque, i Massimi giudici hanno finito per avallare la valutazione d’incongruità della motivazione compiuta dal Giudice di merito - al quale è riservato l’apprezzamento sulla sufficienza e idoneità della motivazione della cartella per spese di giustizia penali - e, per l’effetto, il ricorso ministeriale è stato respinto, con enunciazione del seguente principio di diritto:
- «In tema di recupero di spese di giustizia penali, la cartella di pagamento deve contenere gli elementi indispensabili per consentire al destinatario di effettuare il necessario controllo sulla correttezza della pretesa creditoria e tale obbligo di motivazione – che sussiste sin dal momento dell’emissione dell’atto, senza possibilità di successiva integrazione nel corso del giudizio – non è assolto mediante il richiamo per relationem della sentenza penale che ha condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali o tra-mite il rinvio ad atti (segnatamente, i cosiddetti «fogli notizie» redatti dalla Procura della Repubblica ed attestanti le spese sostenute nel processo penale) che, benché richiamati nella cartella, non sono stati precedentemente comunicati».