La mancata disponibilità, da parte dei soci, di redditi atti a giustificare l’ammontare dei dedotti finanziamenti ben può costituire presunzione della sussistenza di utili extracontabili. È l’indicazione che proviene dall’ordinanza n. 7739/2025 della Corte di cassazione (Sez. T), pubblicata il 24…
Il caso
Una S.r.l. ha impugnato un avviso di accertamento per l’anno 2013, mediante il quale l’Agenzia delle Entrate, procedendo ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), e 41-bis del D.P.R. 600/1973, ha determinato un maggior reddito imponibile, derivante dall’omessa dichiarazione di componenti positivi e, conseguentemente, accertato maggiori importi dovuti a titolo di IRES, IRAP e IVA.
Il recupero a tassazione in questione ha fatto seguito a un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, redatto a conclusione di un’attività di verifica per gli anni dal 2012 al 2014 e notificato alla società.
Quest’ultima è stata quindi invitata a un contraddittorio, nell’ambito del quale ha prodotto documentazione, che l’Ufficio ha ritenuto non sufficiente a chiarire la provenienza di tutte le somme versate a titolo di "finanziamento soci".
Tali finanziamenti sono stati perciò ricondotti a ricavi aziendali sottratti all’imposizione, fatti confluire nella casse societarie mediante la rappresentazione contabile di versamenti soci.
Di qui la notifica dell’atto impositivo, la presentazione di un’istanza di accertamento con adesione, che però non ha sortito esito positivo, con la conseguenza che la vertenza fiscale si è spostata nelle aule giudiziarie.
Ebbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di “seconde cure” che, erroneamente, ha ribaltato gli oneri probatori in violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ.
La Difesa erariale – ha osservato il Collegio di legittimità - ha puntualizzato adeguatamente le specifiche circostanze fattuali e le precise argomentazioni addotte a contrasto della tesi della contribuente sulla provenienza degli importi riscontrati da finanziamenti dei soci.
In particolare, l’Amministrazione ha evidenziato a monte che, non disponendo i soci di redditi tanto cospicui da consentire erogazioni di significativa entità, era presumibile che gli importi pervenuti in capo alla società si correlassero, in realtà, a utili extracontabili indebitamente sottratti all’imposizione fiscale.
La giurisprudenza di legittimità ha già sostenuto che la mancata disponibilità, da parte dei soci di società a ristretta base partecipativa, di redditi atti a giustificare l’ammontare dei dedotti finanziamenti ben può costituire idonea presunzione della sussistenza di utili extracontabili (così Cass. n. 9412 del 2019 in motivazione).
Nel caso di specie, pertanto, i fatti posti a fondamento dell’accertamento, ovvero l’esiguità delle risorse in capo ai soci, ha legittimamente generato nell’Ufficio la presunzione che, in effetti, gli importi rinvenuti in capo alla società nascondessero l’occultamento fiscale di redditi societari, e che tanto dimostrasse e giustificasse la pretesa tributaria veicolata con l’atto impositivo.
Ciò posto, la Suprema Corte ha puntualizzato che detta presunzione è semplice e perciò ammette, in linea di principio, che la parte contribuente dia conto, in qualche modo, della provenienza del denaro oggetto di riscontro. Ma sul punto l’indagine della C.T.R. è mancata, essendo essa pervenuta – fanno notare gli Ermellini – «alla propria decisione prescindendo del tutto da un attento esame delle circostanziate difese dedotte dall’Ufficio e degli elementi istruttori dallo stesso forniti su fatti ai fini del giudizio.»
Il ricorso erariale è stato dunque accolto e, per l’effetto, gli Ermellini hanno rinviato la causa, per un nuovo esame, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo Grado della Lombardia.
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