4 novembre 2011

Agenzia e Inps: matrimonio impossibile

A cura di Antonio Gigliotti

Sono ancora accesi i fuochi generati dalle discussioni sul probabile condono che, in base a indiscrezioni non ufficiali, potrebbe prospettarsi in seno ai provvedimenti del decreto legge sullo sviluppo. Ebbene, ciò si inserirebbe in un percorso di misure risanatrici già avviato con la definizione delle liti pendenti. Da tempo su queste pagine si afferma la necessità di applicare tal genere di strategie perché riteniamo che non siano nemiche della ripresa fiscale, bensì espresse decisioni di mettere un punto definitivo alle controversie tra i contribuenti e il Fisco. Tuttavia, vi sono degli aspetti nell’ambito delle liti pendenti che non soddisfano i criteri di rispetto del contribuente e su questi si dovrebbe levare il coro indignato del “NO”.

Cos’è che ci dovrebbe far sobbalzare dalla sedia e pretendere a voce alta una maggiore attenzione da parte del Legislatore? Ebbene, la risposta emerge senza troppo districarsi tra inutili discorsi e risiede nel fatto che anche nel definire la chiusura delle liti pendenti vien fuori l’instabilità dell’apparato normativo, che ancora una volta pone noi e i nostri clienti nelle mani di un Esecutivo fiscale disordinato, improvvisato e per nulla coeso. In fin dei conti, è questo che ci fa vivere con distacco le ragioni del fronte del “NO” al condono fiscale, convinti come siamo che quelle forze dovrebbero essere più proficuamente convogliate verso altri lidi, tra i quali appunto l’esigenza di porre una maggiore attenzione alle incoerenze circa le definizioni agevolate, sulla quale mi preme fare il punto.

Posto che parlare a vanvera e senza cognizione non risulta garantire alcuna produttività, mia intenzione è argomentare la tesi circa la contraddittorietà interna della materia “liti pendenti” attraverso l’esposizione dei fatti, concreti compagni di un cammino inteso come disvelamento delle falle e delle disattenzioni del sistema fiscale del nostro Paese. Dunque, leggi alla mano, passiamo ad illustrare la questione esposta. Cosa sono, quindi, queste definizioni di liti pendenti? Ecco, per effetto di quanto stabilito dall’art.39 del D.L. 06 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n.111, viene data la possibilità al contribuente di definire le liti pendenti alla data del 1° maggio 2011 dinanzi alle Commissioni tributarie o al Giudice ordinario in ogni grado del giudizio, anche a seguito di rinvio. Tali provvedimenti precisano, inoltre, che sono definibili soltanto le controversie nelle quali sia parte l’Agenzia delle Entrate, escludendo la definizione delle liti che vedono come parti legittimate passive in primo grado altre Amministrazioni pubbliche. Come dire, il Fisco perdona, sì, ma non tutto. E questa è una delle prime inconcludenze che vengono alla luce passando al vaglio la normativa concernente le liti ancora aperte. Tant’è che la stessa Agenzia delle Entrate ha comunicato con circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011 quali e quante sono le pendenze che potranno essere sanate distinguendole da quelle situazioni di contenzioso che esulano da un beneficio di siffatto genere. Capita spesso al contribuente di subire un accertamento da parte del Fisco, con l’attribuzione di un maggior reddito, ricevendo in seguito un avviso di accertamento che recherà oltre alle imposte accertate, anche l’indicazione dei contributi e premi previdenziali e assistenziali liquidati in base al maggior reddito accertato. Su tali contributi si andranno ad instaurare nuove controversie nei confronti degli enti previdenziali , controversie che rientreranno nella giurisdizione del giudice ordinario. Ebbene, le controversie generate da questi contributi rappresentano una fascia di liti escluse dalla definizione.

Ecco, questo è quel che il Legislatore ha deciso per noi. Ora, proviamo a trasportare la legge nella vita reale, quella che i nostri clienti si trovano davanti tutti i giorni e che portano nei nostri studi al fine di individuare insieme una via d’uscita a situazioni di rievocazione vagamente kafkiana. Dunque, supponiamo il caso del contribuente che avendo ricevuto un avviso di accertamento (comprensivo anche di contributi previdenziali sul maggior reddito accertato), abbia presentato il ricorso e che alla data del 1° maggio 2011 lo stesso sia stato già discusso e vinto in CTP, facendo conseguentemente emergere una soccombenza ai danni dell’Agenzia. In tale circostanza, il contribuente, essendo la lite di importo inferiore a 20.000, potrà aderire alla definizione agevolata con il pagamento del 10% entro il 30 novembre. Qui casca l’asino! Questo è il momento in cui il commercialista dovrebbe alzarsi e contestare il paradosso prodotto dal Fisco. Cosa accade? Accade che il maggior valore accertato che ha determinato la richiesta anche di maggiori contributi previdenziali, viene definito con la definizione agevolata; rimane però in piedi, per mancanza di coordinamento tra Agenzia e INPS, la pretesa dei maggiori contributi INPS.

Alla luce di ciò, abbiamo o no ragione d’indignarci? Ed è nostro diritto chiedere che certi “NO” di categoria seguano le giuste esigenze e non si accodino all’ancora acerbo dibattito sul condono tombale? E’ così che, colpito dallo stridore del contrasto, mi fermo un momento per esaminare tutti questi elementi, quelli esterni, prodotti dalla la mancanza di una qualsiasi forma di comunicazione tra Inps e Fisco, e quelli interni, generati da un’apparente non presa di posizione netta da parte di chi è chiamato a rappresentarci. Mi chiedo, quindi, perché non è possibile avere una norma che consenta al contribuente di vivere tranquillo e nel momento in cui decide di aderire ad una proposta di sanatoria, non gli viene riconosciuta la possibilità di chiudere effettivamente quella lite? E’, forse, una richiesta particolarmente pretestuosa? E noi, come categoria, perché non segnaliamo tale assurdità? Dove sta scritto, su quale testo autorevole, che bisogna vivere nella speranza, come accaduto per la precedente chiusura delle liti (articolo 16 della legge 289/2002), che l’istituto previdenziale non si attivi? E, di conseguenza, che la chiusura della lite fatta ai fini fiscali possa determinare, per inerzia dell’istituto o addirittura per decadenza dei termini, la chiusura definitiva anche ai fini previdenziali? Penso che, anche a cercare con il lanternino nei più polverosi archivi, non si troverà mai una massima che incentivi questa instabilità. Né, tantomeno, si riuscirà a portare alla luce una risposta esaustiva a questi miei quesiti.

Per concludere, cari colleghi, ritengo di poter affermare che siamo tutti al cospetto di un’ulteriore atteggiamento di scorrettezza da parte dell’Agenzia delle Entrate, che con il pretesto di un’alleanza vuole trasformare la nostra categoria in un bacino di guardie e controllori, esautorando tutti noi commercialisti dalla possibilità di svolgere la nostra più basilare funzione, ossia l’assistenza al cliente. Ma l’azione che sta svolgendo il Fisco si basa, a mio parere, su di un fondamento costruito su norme improvvisate e scarsamente coordinate, il cui primario obiettivo è quello di far cassa. Pertanto, è giunta l’ora che la categoria prenda in mano le redini di quella sfera d’azione che l’ha vista da sempre protagonista indiscussa e faccia comprendere all’Agenzia che è finito il tempo delle belle parole. Ché ormai l’abbiam ricevuto il messaggio! “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, a questo punto lo possiamo dire con cognizione e chiarezza.
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