2 dicembre 2020

Caro Corriere ti scrivo

Autore: Paolo Iaccarino
Il giornalismo non ammette ignoranza. La redazione e diffusione di notizie ricusano inconsapevolezza ed incompetenza, sopratutto se la materia non è comune e le conoscenze dell’autore non sono specialistiche. A maggior ragione se lo strumento utilizzato per la sua diffusione, in questo caso il mezzo stampa, raggiunge un’ampia platea di soggetti, indiscriminatamente. Come per tutti i mezzi di informazione, le parole possono rappresentare sassi, sopratutto se utilizzate erroneamente. Possono, irragionevolmente, offrire un’immagine sbagliata di un singolo e di un’intera categoria.

Secondo il Corriere della Sera dietro ad alcune delle irregolarità nell’erogazione del contributo a fondo perduto scovate dall’Amministrazione Finanziaria vi sarebbero i commercialisti. Secondo uno dei principali quotidiani italiani alcuni commercialisti hanno indicato nella domanda, volontariamente, l’IBAN del proprio conto in luogo di quello del loro cliente che avrebbe dovuto ricevere l’indennizzo. All’insaputa del beneficiario, tenuto all’oscuro dell’indennità, ed alla faccia di migliaia e migliaia di piccoli imprenditori e lavoratori autonomi destinati, anche per questo, al fallimento.

Più che un escamotage da commedia all’italiana, una comica. Quella di leggere così tante informazioni, malamente raccolte e tendenziosamente costruite. Per buona pace del Corriere della Sera e dell’incauto giornalista quanto rappresentato a tiratura nazionale non corrisponde al vero. Semplicemente perché non sarebbe stato possibile realizzarlo. Qualsivoglia intento in tal senso, infatti, sarebbe irrimediabilmente fallito all’origine, con la notifica di una ricevuta di rigetto, senza alcuno scoop o scandalo di sorta.

Non è necessaria alcuna arringa, appassionante dedicata alla difesa della categoria chiamata in causa. È sufficiente leggere il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Prot. n. 0230439/2020 attuativo del contributo a fondo perduto. Come noto agli operatori del settore, infatti, l’istanza per il riconoscimento del beneficio richiedeva espressamente l’indicazione dell’Iban del conto corrente intestato al soggetto richiedente. L’erogazione del contributo era effettuata mediante l’accredito esclusivamente sul conto corrente individuato dalle coordinate bancarie indicate nell’istanza, conto corrente intestato al codice fiscale del soggetto, persona fisica ovvero persona giuridica, legittimamente beneficiario. In particolare, al fine di evitare storni e anomalie nella fase di pagamento del contributo, nell’ambito dell’attività di controllo preliminare, l’Agenzia delle Entrate aveva il potere di verifica che il conto sul quale avrebbe erogato il bonifico, identificato dal relativo codice IBAN, fosse effettivamente intestato o cointestato al codice fiscale del soggetto richiedente, pena il rigetto della richiesta.

Una nota amara. L’informazione non è solo un mezzo di trasmissione di messaggi, ma lo strumento dal quale l’opinione pubblica attinge alle informazioni che determineranno il proprio orientamento. Se tali informazioni sono parziali e, cosa peggiore, tendenziose, perché generiche e non dimostrate, piuttosto che ingenerare il beneficio del dubbio, alimentano il pettegolezzo, facendo intendere un disegno criminoso appositamente premeditato. Se l’informazione non è puntuale, come biasimare coloro che, nel decadimento culturale di un’intera società, rinunciano a canali di informazione verificati e si affidano alle mode del web? Come combattere le fake news e la mala informazione?
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