11 marzo 2013

CI SIAMO IMPANTANATI

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi, ancora oggi, a due settimane dal voto, i nostri vertici discutono sul governo che verrà… Ammesso che si possa infine riuscire a farne uno che dia stabilità (seppur temporanea) al Paese. Intanto, mentre gli ‘eletti’ si incontrano e soprattutto si scontrano, il versante economico-finanziario sta vivendo una sconfortante battuta d’arresto.

L’Italia potrebbe esser protagonista di una terza ondata di credit crunch (stretta creditizia), dopo quelle verificatesi rispettivamente nei periodi 2007-2009 e 2011-2012.

L’andamento dei prestiti bancari si sta trascinando dietro da molti (troppi) mesi il trend negativo che non fa presagire alcun miglioramento. La Banca d’Italia, in merito a ciò, ha diffuso di recente dei dati che dovrebbero far riflettere e indurre a trovar presto una soluzione. In sostanza, secondo tali riscontri, a subire un’evidente contrazione sono stati sia i finanziamenti alle imprese che ai privati. Un ruolo fondamentale nel creare una simile situazione lo hanno avuto i tassi d’interesse applicati che si sono rivelati molto più alti rispetto alla media in vigore dell’eurozona. Inoltre Bankitalia ha altresì segnalato che uno scenario caratterizzato da instabilità e insicurezza ha indotto le banche a una maggiore cautela, tant’è che negli ultimi tempi sono state sempre più restie ad erogare credito.

Se il contesto è quello pocanzi descritto, appare evidente che vi è l’esigenza di sbloccare la liquidità per ridare ossigeno alle famiglie e alle imprese, soprattutto alle realtà medio-piccole che hanno incontrato maggiori sofferenze e spesso la morte. Pertanto ritengo che le vie percorribili debbano essere due: da un lato, gli istituti bancari dovrebbero riscoprire il proprio ruolo originario e iniziare a sbloccare i crediti con tassi d’interesse accessibili e sostenibili; dall’altro, lo Stato deve saldare i propri ‘conti scoperti’ con le imprese iniziando a pagare almeno una parte dei propri debiti commerciali dello stock accumulato (71 miliardi nel 2011, secondo Bankitalia). Purtroppo questi debiti statali sono cresciuti anche a causa dei ritardi nei pagamenti delle Pubbliche amministrazioni ai rispettivi fornitori (180 giorni in Italia contro i 36 della Germania). In merito a tali ritardi i diversi governi che si sono succeduti non si sono mai interrogati, neanche l’ultimo esecutivo di stampo tecnico ha tirato fuori dal cilindro un’opportuna soluzione al fenomeno dilagante. La situazione è a dir poco paradossale, soprattutto considerando che nel nostro Paese se un cittadino paga in ritardo è possibile che il giorno dopo si trovi la casa pignorata, mentre lo Stato può tranquillamente pagare le imprese anni dopo aver usufruito dei loro servizi o dei loro beni prodotti.

E ora, in aggiunta a quanto emerso dai rapporti della Banca d’Italia, è venuto fuori proprio la scorsa settimana che la nostra affidabilità creditizia è ulteriormente scesa. Dopo i tagli effettuati dalle agenzie S&p e Moody’s lo scorso anno, anche Fitch ha relegato il nostro Paese dalla precedente “A-” alla “BBB+” con la motivazione che “i risultati inconcludenti delle elezioni rendono improbabile che l’Italia possa avere un Governo nelle prossime settimane. L’incertezza politica e il possibile conseguente freno alle riforme strutturali costituiscono un ulteriore shock per la già provata economia reale”. Una pessima notizia soprattutto per gli investitori, perché in sostanza si sta dicendo loro che l’Italia ha una scarsa capacità di rimborsare i debiti.

L’attuale condizione del nostro Paese e il possibile futuro che si prospetta mi riportano alla mente una frase, a me cara, del nostro grande statista Alcide De Gasperi, uno dei padri della Repubblica. De Gasperi affermava che “politica vuol dire realizzare”. È quindi evidente che pochi degli attuali ‘politici’ o sedicenti tali abbiano interiorizzato questo principio. Persino i ‘tecnici’ non hanno sistemato proprio nulla, inoltre la recessione aumenta e il vuoto governativo preoccupa anche l’economia. Lo scenario corrente è questo, la speranza è che si smetta di parlare e si vada avanti con le riforme concrete. E ciò vale anche per la nostra categoria che, rimasta priva della governance, funge da specchio della situazione nazionale.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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