17 ottobre 2012

Finire col botto

A cura di Antonio Gigliotti

Eccoci qui, a tirare le somme di una campagna elettorale ormai conclusasi alla luce di un risultato quanto mai soddisfacente. Ebbene sì, lo ripeto, soddisfacente. Perché a vincere è stata la lista “Insieme per la professione” guidata, rispettivamente per le componenti di appartenenza, da Gerardo Longobardi e Davide Di Russo. Tutto il resto è solo un insieme di vane speranze che il Ministero della Giustizia presto fugherà. E questo risultato non può che essere piena espressione di quell’insofferenza manifestata a più riprese, nel corso degli ultimi due anni, dalla base.

La vecchia governance ha perso sia numericamente che dal punto di vista della credibilità. Ieri tutti i quotidiani che si occupano del comparto professionale si sono preoccupati di specificare che da una platea di 741 elettori, ben 364 avrebbero espresso la propria preferenza per la lista di Claudio Siciliotti, 359 per quella di Gerardo Longobardi. Senza alcuna destinazione sarebbero rimasti invece 18 voti. Quindi, si potrebbe obiettare, il nuovo presidente dal primo gennaio del prossimo anno non sarebbe altri che… quello uscente.

E invece no!

Così non è e la spiegazione è molto chiara, trasparente e sotto gli occhi di tutti. Fingere di non vederla vorrebbe dire, ancora una volta, ingannare gli iscritti, uno per uno. La lista “Vivere la professione” di Siciliotti-Marcello avrebbe vinto qualora si ritenessero validi anche i voti espressi dagli Ordini di Enna e Bari, sedi i cui Presidenti hanno da tempo rassegnato le proprie dimissioni. A questo punto la normativa vuole che i loro voti non vengano considerati legittimi. Ora, la mia non è affatto una posizione campata in aria. Come ho avuto modo di ripetere più volte e per diversi motivi, ogni parola che scrivo intendo farla seguire da una valida dimostrazione, ciò nel pieno e prioritario rispetto di chi mi legge. Cura e attenzione, questa, che dovrebbe essere adottata anche da chi finora ci ha rappresentati e, non stanco degli inganni e dei giochi di prestigio propinatici fin qui, intende ancora occupare una poltrona che non è stato in grado di meritarsi. A quali prove certe alludo? Ebbene, al decreto legislativo 139/2005 recante disposizioni in materia di Albo unico. Nello specifico, cito testualmente l’articolo 16:

“1. Fatta eccezione per il presidente, la cui decadenza, dimissione, morte od altro definitivo impedimento comporta lo scioglimento di diritto dell'intero Consiglio, alla sostituzione dei consiglieri che sono venuti a mancare per decadenza, dimissioni, morte o per altre cause, si provvede con la nomina dei primi dei non eletti nelle rispettive liste. 2. l componenti così eletti rimangono in carica fino alla scadenza del Consiglio. 3. Se il numero delle vacanze contestuali supera la metà dei componenti il Consiglio, esso decade automaticamente. Il presidente deve di diritto, entro sessanta giorni dalla intervenuta decadenza, convocare e tenere l'Assemblea per l'elezione dell'intero Consiglio. 4. In caso di impedimento del presidente, tale attribuzione è esercitata dal presidente del tribunale nel cui circondario l'Ordine è istituito”.

In altri termini, un Consiglio di Ordine territoriale il cui presidente sia decaduto, si sia dimesso, sia deceduto o abbia avuto altri impedimenti che lo hanno portato a non poter più far parte della squadra di governo, dunque, quel Consiglio si deve considerare decaduto “automaticamente”. E’ ovvio che non sarò io a dover giudicare la vicenda, ma quella manciata di voti provenienti da Enna e Bari rappresentano la svolta per la nostra categoria, pertanto mi auguro che chi dovrà decidere terrà conto delle disposizioni che sono alla base del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. A questo punto risulta davvero come una corsa contro il tempo e contro l’ormai certo destino la presentazione di un ricorso al Tar per una questione già risolta. Ma anche su questo punto, la risposta non potrà che essere un’ennesima riproposizione delle norme scritte che nelle ultime settimane abbiamo letto e riletto a sufficienza.

Intanto, neanche davanti all’evidenza qualcuno è in grado di placare il proprio animo. Chi finora ha taciuto, dopo il voto di lunedì ha deciso di riprendere la parola, cavalcando forse quest’onda di apparente vittoria. E così imperversano i sedicenti esperti sui vari blog e social network. Gente che, presa com’è dagli svaghi digitali, ha dimenticato di leggere le disposizioni vere e concrete continuando ad addurre dubbi su una presunta illegittima candidatura del collega Giorgio Sganga. E, quasi come in una perfetta emulazione di quel che avviene nei salotti della politica nazionale, si getta fango sull’altrui operato per nascondere la propria inerzia. Certo, perché siamo in queste condizioni proprio a causa dell’inoperosità dimostrata dall’attuale (ancora per poco) governance. E sì, perché i Consigli di Bari e di Enna non sono decaduti negli ultimi giorni, bensì ormai da mesi… Lasso di tempo durante il quale il nostro presidente non ha provveduto a risolvere la ferita, com’era invece suo dovere fare. Ora, considerando la direzione che ha preso la vicenda, a fare un’ennesima pessima figura è sempre la categoria. Non sarebbe stato meglio prendere provvedimenti in tempo, evitando così facili quanto dannose strumentalizzazioni? Ecco, quindi, perché all’inizio parlavo di perdita numerica e di immagine. Hanno perso con i voti - che separati sono stati 193 per Siciliotti e 230 per Longobardi, contro i 129 di Di Russo e i 155 per Marcello - ma la disfatta più grave è stata questa, soprattutto perché si è trattato di una sconfitta che ha trascinato con sé l’intera categoria.
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