3 settembre 2020

Il rischio del terrapiattismo fiscale

Autore: Andrea Dili
Mai come quest’anno agosto ci ha regalato una moltitudine di idee e proposte per la riforma dell’IRPEF: un mese iniziato con il paradosso della semplificazione attraverso la moltiplicazione dei versamenti delle imposte non poteva che concludersi con l’ossimoro del taglio delle tasse mediante l’applicazione di una aliquota del 15% sul fatturato.

A ben vedere le uscite sempre più frenetiche della politica su temi estremamente tecnici e complessi, quali il fisco, potrebbero rimanere confinate, insieme all’immancabile calciomercato, al gossip estivo, se non fossero strenuamente rilanciate da alcuni media che – senza alcuna analisi critica – contribuiscono a propinare ai propri utenti una quantità macroscopica di “bufale”. Ne è plastico esempio la vicenda delle indennità di 600 euro percepite da un nugolo di parlamentari e consiglieri regionali e fatta passare, dopo le prime 24 ore di indignazione generale, quale autonoma iniziativa del commercialista di turno. Senza minimamente chiedersi se ciò fosse, stante la procedura de quo, tecnicamente possibile.

Ai fautori di una riforma fiscale nel solco della semplificazione e del risparmio di imposta si è iscritto qualche giorno fa anche Il Fatto Quotidiano, che nel titolo principale della prima pagina riportava “Un Fisco anti Flat Tax con aliquote su misura”, prospettando l’adozione di un modello mutuato da quello vigente in Germania, nell’ottica già indicata da alcuni autorevoli membri del Governo.

Posto che non si capisce per quale motivo il mero transito dal sistema attuale a quello tedesco debba rappresentare una semplificazione tout court, una tabella pubblicata a corredo dell’articolo mostra il possibile taglio delle tasse che ne deriverebbe. In sintesi, per vari livelli di reddito viene messo a confronto il carico di imposta attuale con quello derivante dall’applicazione del modello proposto dall’Associazione LEF, modello che contempla una esenzione fino a 8.145 euro di reddito e aliquote progressive dal 15% al 41%: i risparmi, ben evidenziati in tabella, sarebbero sbalorditivi, raggiungendo 3.070 euro su redditi di 40mila euro e diminuendo progressivamente all’aumentare del reddito fino a circa 70mila euro, per poi lasciare il passo a un incremento delle imposte sui redditi più elevati.

L’uso del condizionale, tuttavia, è d’obbligo considerando che la tabella espone i dati relativi al modello IRPEF attuale al lordo delle detrazioni (che secondo i dati pubblicati dal MEF, pesano per circa 70 miliardi) e senza tenere conto, per i lavoratori dipendenti, dell’effetto del cosiddetto “bonus 80 euro” (peraltro recentemente incrementato). Tant’è che, ad esempio, mentre l’aliquota media effettiva per un contribuente con redditi compresi tra 12mila e 15mila euro ammonta a circa il 5%, nella tabella viene applicata una aliquota secca del 23%, con il risultato di far apparire un risparmio di imposta laddove, in realtà, si determinerebbe un aggravio. È l’effetto di una semplificazione che, confrontando grandezze disomogenee (imposta lorda attuale con imposta netta del modello proposto), potrebbe condurre fuori strada coloro che hanno poca dimestichezza con questi temi.

Un ulteriore episodio che mette a nudo il rischio che nel dibattito sulla riforma dell’IRPEF assumano rilevanza, anche accidentalmente, forme di terrapiattismo fiscale: con il contribuente italiano che potrebbe rapidamente passare dal sogno del taglio delle imposte e della semplificazione all’incubo di adempimenti e carichi aggiuntivi. Un po’ come quella coppia che volendo giungere a Lampedusa per scoprire il bordo del mondo piatto si è ritrovata a Ustica dopo molteplici peripezie.
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