Non sono le lettere di compliance il problema, ma l’utilizzo che ne fa l’Amministrazione finanziaria. Nate per favorire l’adempimento spontaneo e aumentare la fedeltà fiscale dei contribuenti, inaspriscono inutilmente il rapporto con il Fisco. Sono uno strumento di pressione psicologica.
“Gentile contribuente, desideriamo informarla che abbiamo riscontrato una possibile anomalia nella sua dichiarazione Modello Redditi 2022 per l’anno d’imposta 2021. In particolare, è stata compilata la sezione riservata ai contribuenti in regime forfettario nel quadro LM, ma non è stato indicato alcun dato sull’attività d’impresa nel prospetto RS”. Se è tutto ok non fare nulla, se c’è qualcosa che non va correggi la tua dichiarazione. Stop. Nessuna ulteriore informazione che possa aiutare il contribuente nella sua verifica.
Come impostata non è una compliance, ma una lettera di minacce, nemmeno tanto velate. Perché integrare le informazioni richieste al buio, in assenza di una contabilità dalla quale attingere i dati, non solleva davvero il contribuente dal rischio di essere successivamente sanzionato. Piuttosto le compliance appena ricevute inducono inconsciamente al ravvedimento. In prima battuta il costo della regolarizzazione, pari a soli 35,71 euro, è talmente basso da renderlo accettabile. Pur di non parlarne più.
È necessaria una presa di posizione. Le letterine del Fisco devono essere rimandate al mittente, perché sono inutili, come la proroga dei termini, prevista dall’ultimo decreto legge, per assolvere agli obblighi informativi del quadro RS dei forfettari, senza sanzioni. Invece di aprire le porte dell’Anagrafe tributaria, e consentire il libero accesso del contribuente ai dati che lo riguardano, l’Amministrazione finanziaria allude a potenziali anomalie, delle quali non è nemmeno certa, e lascia il contribuente inerme alla ricerca dei propri peccati.
Ecco a voi il Fisco, il nostro migliore amico.
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