27 giugno 2011

Ma mi faccia il piacere…...

A cura di Antonio Gigliotti

E’ questa una delle più esilaranti battute pronunciate dal mitico Totò nell’incontro con l'onorevole Cosimo Trombetta sul wagon lit. E proprio da questa frase che Totò sembra aver ben captato e interpretato una sorte di umore (meglio dire malumore) nell’immediato dopoguerra.

La sua gag, tratta dal film “Totò a colori” di Steno, rappresenta l’ennesima rivincita dell’uomo comune nei confronti di una classe politica considerata, non solo distante dai cittadini, ma addirittura estranea alla realtà.

Estraneità che talvolta si trasforma in stranezza, come quella di cui oggi vorrei occuparmi e cioè, di un nuovo adempimento che presto coinvolgerà migliaia e migliaia di negozianti.

Spesometro - Dal 1° luglio, viene introdotto un obbligo dall’articolo 21 del Dl 78/2010, che si pone, in relazione ai privati, quale strumento per l’acquisizione di informazioni utilizzabili a supporto del redditometro. In sostanza da tale data tutti i negozianti, che emettono scontrini o ricevute fiscali, dovranno richiedere ai propri clienti il codice fiscale qualora si effettua una vendita di importo pari o superiore a 3.600 euro, Iva compresa. La norma, come modificata di recente dal decreto sviluppo, obbliga alla richiesta del codice fiscale quando il corrispettivo è pagato in contanti, mentre se l’acquisto è effettuato con carta di credito non occorre l’acquisizione di quest’ultimo. Bene, a questo punto emerge la prima incongruità: è stabilito infatti che se il pagamento si effettua con bonifico bancario, assegni o carta di credito emessa da operatori finanziari non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio nazionale, occorre comunque acquisire il codice fiscale. A questo punto si dovrà spiegare ai negozianti, (pensate ad un gioielliere, un venditore di capi firmati o ad un mobiliere), con grande fatica da parte del professionista, che all’atto della vendita - e quindi del pagamento - si dovrà verificare, quando viene esibita la carta di credito da parte del cliente, la tipologia di quest’ultima per individuare il soggetto emittente (se nazionale o meno) . Un onere non da poco per il negoziante.

Ed ancora, la norma stabilisce che nel caso in cui al negoziante si presenta un soggetto non residente, (ad es. turista straniero), la mancanza del codice fiscale in tal caso, impone una “schedatura” completa e presumibilmente non gradita dallo stesso cliente, del quale devono essere rilevati nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza… A questo punto immaginate non soltanto le difficoltà di una simile richiesta, ma anche l’utilità del tutto.

Il Fisco Italiano, una volta venuto in possesso di tali dati, cosa ne fa? Raggiungerà il turista in Patria per fare il redditometro?

In verità non credo questa sia una norma destinata al successo e al miglioramento del sistema.

Cosa potremmo suggerire al legislatore? Forse l’attuazione di norme da cui scaturiscano adempimenti che abbiano un senso, anche perché, come spesso accade e come ci dice Benjamin Franklin: “I saggi non hanno bisogno di suggerimenti. Gli sciocchi, non ne tengono conto” e quindi, non potendo dare neanche i suggerimenti e richiamando il nostro grande Totò, diremo… Ma ci facciano il piacere!
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