28 ottobre 2011

Servilismo al Fisco: è finita!

A cura di Antonio Gigliotti

L'uomo saggio agisce prima di parlare ed in seguito parla secondo la sua azione. (Confucio)

In un periodo di crisi e difficoltà economica, la soddisfazione e l’orgoglio di svolgere una professione dipende, anche e soprattutto, dal riconoscimento esterno, dalla consapevolezza di aiutare il sistema ad andare avanti, verso la via d’ uscita. Per un commercialista questo significa trascorrere la maggior parte del proprio tempo nel proprio studio, arrivare a fine giornata stanchi, ma con una quantità soddisfacente di lavoro alle spalle.

Niente di speciale, penserete. E di fatto così è, ma quando anche un’affermazione come questa non si può più dare per scontata… vuol dire che c’è qualcosa che non va. Da mesi cerchiamo di richiamare l’attenzione della nostra governance sulle necessità della Categoria, quella vera che vive anche solo della tenuta della contabilità e non delle grandi fusioni. Una Categoria che vede i suoi professionisti impegnati quotidianamente in operazioni di routine che ben poco centrano con la professione, ma che sono, comunque, obbligati a svolgere. Ciò nonostante ammiro e stimo – se possibile ancora di più – la mia Categoria: sfruttata, malpagata, inascoltata eppure talmente dedita alla sua attività.

Le molte lettere che arrivano in redazione hanno tutte un comune denominatore che si chiama “Amministrazione finanziaria”. Una struttura abituata a pretendere senza dare. I professionisti sono semplicemente esasperati, stanchi di perdere le loro energie in adempimenti non retribuiti.

Anche se lo spirito di sacrificio è massimo, in una situazione come quella attuale, dove le difficoltà sono evidenti e trasversali nella società, i commercialisti hanno bisogno di essere sostenuti, di avere riconoscimenti che diano almeno una soddisfazione morale a chi svolge l’attività con serietà e passione. Ma questo non è avvenuto e non pare avverrà mai.

Non possiamo continuare ad assumere, all’interno dei nostri studi, incarichi e adempimenti per conto del Fisco né tanto meno possiamo accettare che tali suggerimenti arrivino dalla nostra governance. E’ inaccettabile.
Io credo che sia dovere principale della governace di una categoria agire per il bene della stessa. Non se ne può prescindere. Allora è bene – ancora una volta – ricordare che circa il 90% della Categoria è formata da piccoli e medi studi. Addossare su questi ulteriori adempimenti è davvero troppo.

I commercialisti che hanno scelto questa professione, hanno ricevuto una formazione specifica e fatto studi precisi per arrivare a svolgere l’attività. Noi non siamo i segretari di nessuno, semmai, prendendo in prestito l'affermazione del consigliere nazionale Roberto D'Imperio (Il Sole 24 ore del 26 ottobre), dobbiamo rivendicare la nostra entità come "fiduciari" dei nostri clienti, che ovviamente non vuol dire coprire e aiutare gli evasori, ma mettere le competenze al servizio delle aziende, cercando di difenderle da un Fisco sempre più vorace.

Questo consiglio ha scelto negli ultimi anni lo slogan “utili al Paese". Una sintesi perfetta dell’attività svolta dal commercialista. Dà il senso di un lavoro costante, continuo, in grado di ottenere risultati di breve e lungo periodo. Una professione che se svolta bene è capace di contribuire al miglioramento della società. Nulla di più nobile e condivisibile. Tuttavia, con questo motto, stiamo rischiando di rimanere senza una professionalità. Una professionalità che, invece di contraddistinguere, sbiadisce. Troppi adempimenti che aiutano il Fisco e che tolgono tempo ed energie alle aziende che si rivolgono al commercialista aspettandosi precise competenze.
Alla luce di tutto ciò, non si può – ancora una volta – candidare la Categoria a ulteriori adempimenti. Significa essere miopi. Ignorare la realtà. Passare oltre i bisogni degli iscritti.

Va bene volare in alto, ma attenti che giù è diventata una battaglia quotidiana, dove da una parte c'è da assistere e difendere il nostro cliente e dall'altra un Fisco irriconoscente. È arrivato il momento per la Categoria di non accettare nessun altro incarico per conto del Fisco, nessuna funzione di controllo (dove poi addirittura - vedi antiriciclaggio – si rischia di essere sanzionati). La stessa Categoria dovrà dire NO a questa tendenza da parte dell’Amministrazione finanziaria di appoggiarsi continuamente ai commercialisti. Deve dire NO, ma soprattutto farsi ascoltare. Non si possono solo enunciare grandi principi, utilizzare parole ad effetto e poi, nella pratica giocarsi una visibilità di cui il singolo iscritto ne paga le conseguenze. Siamo commercialisti, non funzionari dello Stato o peggio servitori del Fisco.

In definitiva, non si può sperare di procedere per questa via senza mettere in conto il rischio di inciampare nel tenue, eppur crescente malcontento degli iscritti; in fin dei conti, è chiaro che "Ca' nisciuno è fesso", parafrasando il mitico Totò, e a lungo andare un servilismo imposto e un’autonomia non adeguatamente tutelata, potrebbero far risvegliare l’orgoglio di categoria. Un orgoglio per tanto tempo assopito.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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