23 dicembre 2020

Dovere di vigilanza e responsabilità del sindaco

Autore: Giovanni Colombi
Assai tormentato è il rapporto che si instaura, di solito, tra l’organo di controllo di una società e l’ufficio della curatela delle procedure concorsuali: sovente il curatore cerca di individuare comportamenti omissivi dei sindaci al fine di farne derivare oneri risarcitori.

In questo tribolato contesto si innesta (forse) una parola di serenità da parte della Suprema Corte di Cassazione che, pochi giorni or sono, ha emesso la sentenza 28357/2020, datata 11 dicembre, nella quale statuisce un principio fondamentale: il sindaco risponde “…ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente (come suo dovere) in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato". Solo in questo senso va letto va letto l’art. 2407 del Codice Civile.

Il contesto di riferimento – Come è nostro costume non entreremo nel merito della causa, non avendo accesso agli atti nel loro complesso, ma ci limiteremo ad effettuarne una breve ricostruzione al fine di poter calare in essa i principi enunciati dalla Corte cercando di darne una portata generale.

Il sindaco di una cooperativa, in liquidazione dal dicembre 1994 e fallita nel 1998, si dimette il giorno 11 luglio 1995. In data 31 maggio 1995 e 30 giugno 1995 il liquidatore riscuote, e versa sul conto corrente passivo della società degli importi scaturenti da una transazione. All’atto della declaratoria fallimentare, però, questi non consegna le scritture contabili alla curatela né argomenta adeguatamente circa la destinazione della somma incassata.

Da tutto quanto sopra esposto la curatela ritiene di far derivare una responsabilità del sindaco, da un lato, per il mancato reperimento della documentazione contabile e, dall’altro, per la mancata giustificazione dell’impiego che è stato fatto delle somme incassate.

La Suprema Corte nell’esaminare la vicenda enuncia alcuni principi fondamentali che devono sempre essere tenuti presenti dai Colleghi che, specie in tempi difficili come questi, rivestono la carica di Sindaci.

In primo luogo è fuori dubbio come il dovere di controllo posto a carico dei sindaci investa l’intera attività sociale a presidio dell’interesse dei soci e dei creditori sociali (Cass. 2772/99). Da quanto precede discende che “…ad affermare la responsabilità può ben essere sufficiente l’inosservanza del dovere di vigilanza.”

Allo stesso tempo, però, occorre circoscrivere l’ampiezza dei confini della responsabilità ex art. 2407, ad esempio, alle situazioni in cui i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano reagito di fronte ad una situazione di dubbia legittimità e regolarità (ex aliis Cass. 13517/2014, Cass. 23233/2013) poiché in queste situazioni si può ritenere integrata la culpa in vigilando derivante dall’inerzia dell’organo di controllo nell’intercettare condotte inadeguate da parte dell’organo amministrativo così da prevenire eventuali danni ad esse connessi (Cass. 18770/2019).

In tutto ciò gli Ermellini ricordano che il concorso omissivo richiede che chi lamenta tale condotta ne dia circostanziata prova in tutti i suoi elementi costitutivi del giudizio di responsabilità:
  • inerzia del sindaco nel rispetto dei propri doveri di controllo;
  • evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell’organo amministrativo;
  • nesso causale da considerare esistente solo ove il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno.

Dalle considerazioni che precedono, quindi, ne deriva che il sindaco non può essere considerato sempre e comunque una sorta di “parafulmine automatico” nei confronti di qualsivoglia danno derivante dalla vita sociale ma, come anticipato, il sindaco risponde “…ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente (come suo dovere) in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato".

Prima di concludere il presente contributo, non possiamo non spendere qualche riflessione sulle richieste “imbarazzanti” avanzate dalla procedura concorsuale.

In primo luogo si vuole sollevare un profilo di responsabilità per la mancata consegna e/o tenuta delle scritture contabili nei confronti di un sindaco cessato tre anni prima rispetto alla declaratoria fallimentare. Poiché nell’esperienza quotidiana della nostra tormentata vita professionale non possiamo mai escludere, in senso lato, fonti di innesco per profili di responsabilità, ci potremmo interrogare su quali condotte adottare qualora dovessimo cessare una carica sociale (sindaco, amministratore, liquidatore, etc.) per garantirci nei confronti di eventi successivi dei quali perdiamo ogni forma di controllo. Un suggerimento potrebbe essere quello di effettuare un estratto notarile dell’ultima pagina delle scritture contabili ante cessazione così da precostituire prova che, sino alla data di vigenza del nostro incarico, l’impianto contabile era integro ed esistente: da lì in poi… nulla è più nelle nostre mani. Questo tipo di cautela è spesso adottata quando viene ceduta l’interezza del capitale sociale di una società con contestuale sostituzione dell’organo amministrativo.

In secondo luogo, la Collega ha cessato la propria qualifica di sindaco, al massimo, 41 giorni dopo l’incasso delle somme contestate, peraltro regolarmente versate sui conti correnti aziendali: a fronte di un così breve lasso di tempo, la stessa Suprema Corte, non può non far notare come la circostanza stessa “elide il fondamento della valutazione conseguente” in tema di responsabilità da omessa vigilanza.

Per concludere, ancora una volta siamo costretti ad annotare come sia assai accidentato il terreno sul quale i sindaci si devono muovere e come sia fondamentale che essi precostituiscano, per tempo, ogni più ampia documentazione e/o prova dell’avvenuta effettuazione di tutte le attività specifiche ed obbligatorie connesso con il loro ruolo.
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