15 luglio 2020

I reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale

Autore: Alfonso Sica
Dall’analisi del Titolo IX, relativo alle disposizioni penali del nuovo Codice della crisi, si evince chiaramente come, nei primi tre capi, non vi siano state sostanziali variazioni innovative delle condotte penalmente rilevanti rispetto a quelle codificate nella legge fallimentare. Si è assistito, invece, alla mera sostituzione delle dizioni precedenti, come contemplato all’articolo 349 che prevede che “(…) i termini «fallimento», «procedura fallimentare», «fallito» nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituiti, rispettivamente, con le espressioni «liquidazione giudiziale», «procedura di liquidazione giudiziale» e debitore assoggettato a liquidazione giudiziale» e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie (…)”.

È stato previsto, inoltre, con una apposita norma transitoria, l’articolo 390 del codice della crisi, che le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 14/2019 continuino ad essere disciplinate dalla legge fallimentare, anche agli effetti penali, rimanendo attratte al nuovo ordinamento le domande che siano state presentate dopo l'entrata in vigore del nuovo codice e non pendenti a quella data. Le condotte penalmente rilevanti, contemplate dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), non sono state oggetto di riformulazione poiché le nuove disposizioni riproducono essenzialmente le corrispondenti condotte in esso codificate.

L’unica eccezione presente nel nuovo impianto normativo è l’inclusione, attraverso gli articoli 344 e 345, delle disposizioni di cui alla legge 3/2012. I reati imputabili all’imprenditore soggetto a liquidazione giudiziale trovano una loro precisa collocazione nel titolo IX. Tale titolo, relativo alle disposizioni penali del nuovo Codice della crisi, si compone di cinque capi, ognuno dei quali, al suo interno, prevede un gruppo di norme applicabili alle singole fattispecie che possono presentarsi.

Misure sanzionatorie - Le norme che regolano l’aspetto sanzionatorio penale per i reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale, sono previste nel titolo IX, capo I. Tali reati, che prendono il posto di quelli presenti nel regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, possono essere così riassunti:
  • bancarotta fraudolenta, articolo 322;
  • bancarotta semplice, articolo 323;
  • esenzioni dai reati di bancarotta, articolo 324 (tale articolo prevede la non applicabilità dell’articolo 322, comma 3 e dell’articolo 323 a tutte le operazioni compiute in esecuzione di procedure minori);
  • ricorso abusivo al credito, articolo 325;
  • circostanze aggravanti e circostanza attenuante, articolo 326;
  • denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze da parte dell'imprenditore in liquidazione giudiziale, articolo 327;
  • liquidazione giudiziale delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, articolo 328.

In sostanza, come dianzi detto, i reati summenzionati riproducono quelli già contemplati dalla legge fallimentare. Va segnalato, inoltre, che il testo dello schema di decreto legislativo sul codice della crisi presentato alle Camere, all’articolo 373, prevedeva, fra l’altro, l’abrogazione espressa dell’articolo 221 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Anche se l’attuale articolo 374 del CCI, rubricato “abrogazioni”, non richiama più tale soppressione, lo stesso è da ritenersi tacitamente abrogato in quanto non risultano trasferite nei relativi capi le fattispecie in esso contenute.

Causa di non punibilità - L’impianto normativo del CCI, permeato principalmente sull’obiettivo dell’anticipazione dell’accertamento della crisi di insolvenza, agli articoli 24 e 25, riconosce delle c.d. “misure premiali” all’imprenditore che nella gestione della crisi assuma precise iniziative.

In pratica, attraverso il combinato disposto degli artt. 24 e 25 del nuovo CCI, viene introdotta una causa di non punibilità ancorata alla tempestività dell’iniziativa volta a prevenire l’aggravarsi della crisi. Così come resa la norma appare di difficile applicazione, dato che non è sempre agevole individuare il termine iniziale per la decorrenza del periodo oltre il quale l’iniziativa debba definirsi non tempestiva. Inoltre, quantunque l’iniziativa dell’imprenditore possa definirsi tempestiva, e quindi beneficiare delle misure premiali, nel secondo comma dell’articolo 25, si rinviene, con riferimento ai reati più insidiosi, che se l’iniziativa è tempestiva e il danno cagionato è di speciale tenuità“(…) non è punibile chi ha tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti(…)”.

A ben vedere, un discutibile salvacondotto ad esclusivo vantaggio dell’imprenditore, affrancato di poter porre in essere atti e comportamenti penalmente rilevanti e di precostituirsi tutte le condizioni e le argomentazioni a sostegno della causa di “non punibilità”.

Inoltre, il secondo comma dell’articolo 24, prevede che al fine di agevolare l’imprenditore ai fini della dimostrazione della causa di non punibilità, a seguito dell’apertura di un procedimento penale a suo carico per uno dei delitti contemplati nel titolo IX, capo I, prevede che “(…) su richiesta del debitore il presidente del Collegio di cui all’art. 17 attesta l’esistenza dei requisiti di tempestività (…)”. Si evidenzia, inoltre, che a norma del secondo comma dell’art. 25 del CCI, qualora il danno cagionato non sia di speciale tenuità“(…) per chi ha presentato l’istanza o la domanda la pena è ridotta sino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l’importo di 2.000.000,00 di euro (…)”.

Conclusioni - Conseguenza di quanto dianzi detto è la verosimile possibilità che buona parte dei procedimenti penali per i reati di cui al titolo IX, capo I, del CCI, termini con sentenze inique o con pene sicuramente affievolite nella loro deterrenza.
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