5 marzo 2016

Dimissioni online: il CNO chiede un intervento correttivo

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS
Per contrastare il fenomeno delle c.d. “dimissioni in bianco”, l’art. 24 del D.Lgs. n. 151/2015 - sulle orme di quanto già disposto dall’art. 4, co. 19 della L. n. 92/2012 (Riforma Fornero) - ha ridisegnato le modalità per la cessazione del rapporto di lavoro derivante da dimissioni volontarie e risoluzione consensuale.

Infatti, l’art. 24, co. 3 del D.Lgs. n. 151/2015 obbliga ai datori di lavoro – al di fuori dei casi previsti dell’art. 55, co. 4 del D.Lgs. n. 151/2001 – di utilizzare specifiche procedure affinché possano essere considerate valide le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale. Il predetto articolato è stato adottato dal Decreto Ministeriale (Lavoro) 15 dicembre 2015, pubblicato in G.U. l’11 gennaio 2016.

La nuova procedura, che entrerà in vigore dal prossimo 12 marzo, a detta dei CdL rischia di gravare sui bilanci dello Stato e del datore di lavoro. Dopo le proposte di modifica al Jobs Act, presentate dalla Categoria nelle audizioni del 3 luglio al Senato e dell'8 luglio alla Camera dei Deputati, la richiesta di abrogazione della procedura inviata a gennaio e l'indagine della Fondazione Studi sugli effetti dell'applicazione del provvedimento, il CNO dei Consulenti del Lavoro ha inviato una lettera al Ministro del Lavoro Giuliano Poletti per chiedere di riconsiderare la portata della norma, attenuandone gli effetti soprattutto in caso di abbandono del posto di lavoro.

"Noi chiediamo che venga applicato un correttivo - dichiara la Presidente Marina Calderone in un'intervista alla web tv - per dare al datore di lavoro la possibilità di fare una comunicazione al lavoratore, via pec o raccomandata, e in assenza di risposta, dopo 7 giorni dall'avviso, di poterlo considerare dimesso e non dover effettuare una procedura di licenziamento".

La norma sulle dimissioni online, secondo i CdL, presenta alcuni profili di elevata criticità e rischia di avere un costo molto elevato per le casse dello Stato. Infatti, con l’entrata in vigore della nuova disciplina, il datore di lavoro per essere in regola dovrà procedere con il licenziamento per giusta causa del lavoratore per abbandono del posto di lavoro. Tuttavia, questa scelta non sarà assolutamente indolore sotto il profilo dei costi: il ticket licenziamento che (per anzianità fino a 3 anni) può arrivare fino a 1.500 euro circa. Per le aziende si tratta di un maggior costo potenziale di 105 milioni di euro l’anno. Trasformare una dimissione di fatto in un licenziamento effettivo, però, porta con sé altri effetti quali il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione (oggi NASpI) a favore di chi ha abbandonato il posto di lavoro.

La Fondazione Studi CdL ha calcolato che su una retribuzione non superiore a 25.000 euro l’anno, il costo del trattamento per 24 mesi è di circa 21.000 euro. Ciò significa che lo Stato potrebbe essere chiamato a corrispondere a questi lavoratori un’indennità (su due anni) di 1.47 miliardi di euro.
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