12 aprile 2016

Lavoro accessorio: sarà la fine dei voucher?

Autore: Daniele Bonaddio
Il lavoro accessorio, nato con l’intento di diminuire il fenomeno del “lavoro nero”, poggia le sue fondamenta nel D.Lgs. n. 276/2003 (c.d. “Legge Biagi”). Si tratta, in particolare, di rapporti di lavoro che non possono essere ricondotti a tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, poiché vengono prestati in via del tutto saltuaria. La caratteristica principale del lavoro accessorio è sicuramente rappresentata dal meccanismo di pagamento, che prevede la consegna ai lavoratori di buoni lavoro (c.d. “voucher”), aventi un valore nominale (attualmente pari a 10 euro lordi all’ora), i quali potranno essere successivamente riscossi presso gli uffici postali, bancari ovvero tabaccai.
Inizialmente tale metodo di pagamento era piuttosto limitato e circoscritto a determinati soggetti, in quanto poteva essere utilizzato per determinate attività (es. vendemmia, baby-sitting, piccoli lavori domestici, ecc.) e applicabile soltanto a precise tipologie di lavoratori (pensionati, casalinghe, ecc.). Da allora, però, lo scenario dei buoni lavoro è mutato completamente, perdendo la rotta per la quale erano stati introdotti. Infatti, con la L. n. 92/2012 (Riforma Fornero), e il D.Lgs. n. 81/2015 poi, si è completamente liberalizzato il lavoro accessorio, abrogando di conseguenza i paletti contenuti negli artt. 70-74 del D.Lgs. n. 276/2003.
Infatti, il limite economico massimo è passato da 5.060 euro a 7.000 euro netti (9.333 euro lordi), con riferimento alla totalità dei committenti, nel corso di un anno civile (1° gennaio – 31 dicembre). Ma non solo. È stata introdotta anche una stabilizzazione dell’utilizzo dei voucher per i percettori di sostegno al reddito, prevedendo che le prestazioni di lavoro accessorio possano essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nei limiti del patto di stabilità e nel limite complessivo di 3.000 euro di corrispettivo per anno civile.

È chiaro, dunque, che in un contesto nel quale il costo del lavoro è aumentato a dismisura ormai, le aziende cercano sempre di più misure alternative ai contratti di lavoro; e quale migliore viatico dei buoni lavoro?
Più che inventarsi una comunicazione obbligatoria telematica, seppur apprezzabile, sarebbe opportuno rendere più appetibili i contratti di lavoro subordinato, e indicare sui voucher giornata e orario di utilizzo del buono lavoro (come affermato dall’ANCL in un recente comunicato stampa). Soluzione, questa, che sembra proprio voglia intraprendere il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, il quale ha dichiarato che i voucher saranno resi pienamente tracciabili e le imprese che li utilizzeranno dovranno comunicare preventivamente, in modalità telematica, il nominativo ed il codice fiscale del lavoratore per il quale verranno utilizzati, insieme con l'indicazione precisa della data e del luogo in cui svolgerà la prestazione lavorativa e la sua durata.

Ciò porrà sicuramente un freno all’utilizzo distorto dei buoni lavoro che sono nati principalmente con l’intento di far emergere il lavoro nero ma sono purtroppo finiti per alimentare il precariato. Dunque, con le modifiche che il Governo si appresta ad apportare con il Decreto correttivo al Jobs Act, si punta “ad impedire possibili comportamenti illegali ed elusivi da parte di aziende che - al pari di un cittadino che utilizza il biglietto dell'autobus solo se sale a bordo il controllore - acquistano il voucher, comunicano l'intenzione di utilizzarlo ma poi lo usano solo in caso di controllo da parte di un ispettore del lavoro”. Questi ultimi, si ricorda, non potranno neanche entrare nel merito di utilizzo dei voucher, in quanto se il committente indica la “data presunta” di impiego, il compenso che prevede di erogare al prestatore e il lavoratore, previa comunicazione obbligatoria all’INPS (quella alla DTL è ancora temporaneamente sospesa), si trova sul posto di lavoro, l’Ispettore del lavoro non potrà investigare ulteriormente considerando, di conseguenza, genuino il rapporto di lavoro.

Infine, si vuole porre l’attenzione sul fatto che i buoni lavoro non sono uno strumento di pagamento per retribuire lavori costanti e ininterrotti, ma – come dice la norma – deve essere utilizzato per attività lavorative occasionali e accessorie. Prendiamo per esempio il caso di una pizzeria: un cameriere si ammala di sabato lasciando il locale in carenza di personale; in questo caso il committente può utilizzare i voucher in quanto rispecchia la finalità della norma. Ma se per esempio il titolare del locale utilizzasse i voucher come mezzo di pagamento vero e proprio per retribuire il cameriere che presta la propria attività in maniera continua, ecco che si va verso un utilizzo distorto dei buoni lavoro, creando precariato e andando in senso opposto all’art. 1 del D.L. n. 81/2015.
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