29 aprile 2016

Lavoro supplementare nel part-time: niente licenziamento in caso di rifiuto

Il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione retributiva del 15% in caso di accettazione del lavoro supplementare

Autore: Daniele Bonaddio
Il rifiuto da parte del lavoratore di svolgere lavoro “supplementare” nel part time, ossia quella prestazione svolta oltre l’orario di lavoro concordato tra le parti ed entro il limite del tempo pieno (in genere stabilito in 40 ore settimanali, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi), non può mai integrare il licenziamento per giustificato motivo.

È una delle conseguenze derivanti dal D.Lgs. n. 81/2015 che, dal 25 giugno 2015, ha accorpato in un unico codice tutti gli istituti contrattuali. Si ricorda che la precedente disciplina prevedeva il lavoro supplementare solo per i rapporti di lavoro part-time di tipo orizzontale.

Il part-time - Il contratto di lavoro a tempo parziale, attualmente disciplinato dagli artt. 4-12 del D.Lgs. n. 81/2015, è una tipologia contrattuale basato sull’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato in base al quale viene convenuto tra le parti lo svolgimento dell’attività di lavoro per un orario ridotto rispetto a quanto stabilito dal Legislatore e/o dai CCNL. Dunque, è considerato lavoro a tempo parziale qualsiasi rapporto di lavoro che prevede un orario di lavoro giornaliero o settimanale inferiore rispetto a quello giornaliero stabilito dalla legge o dal contratto collettivo.

Fino al 24 giugno 2015, la legge individuava 3 distinte tipologie di rapporto di lavoro a tempo parziale:
  • orizzontale, quando la riduzione di orario era distribuita su ciascun giorno della settimana;
  • verticale, quando la prestazione era resa solo in determinati periodi dell’anno, del mese o della settimana;
  • misto, quando il rapporto di lavoro prevedeva sia la riduzione dell’orario giornaliero che dei periodi lavorati.

Tali tipologie di part-time sono venute meno con il Jobs Act, in quanto l’art. 4 del D.Lgs. n. 81/2015 si limita a precisare che il contratto a tempo parziale può essere sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. Inoltre, deve contenere puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.
È bene far notare che la legge non prevede l’obbligo di garantire un numero minimo di ore di lavoro al lavoratore e neppure limiti quantitativi; in genere è la contrattazione collettiva che disciplina tali aspetti.

Lavoro supplementare – È considerata “lavoro supplementare” la prestazione svolta oltre l’orario di lavoro concordato tra le parti ed entro il limite del tempo pieno. Quindi, se per esempio le parti stabiliscono che un orario a tempo parziale di 24 ore alla settimana, le 16 ore rimanenti fino ad arrivare all’orario massimo consentito (40 ore settimanali), sono considerate supplementari.

In genere è il contratto collettivo che stabilisce l’orario massimo di lavoro supplementare che un lavoratore può effettuare; in assenza, è il datore di lavoro che può stabilirlo con un limite massimo del 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. Dunque, riprendendo il precedente esempio, il datore di lavoro può chiedere massimo 6 ore settimanali di lavoro supplementare.

In tale ipotesi, il lavoratore può rifiutarsi di svolgere prestazioni di lavoro supplementare se il rifiuto è giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari, di formazione professionale.

In caso di accettazione del lavoro supplementare, il lavoratore ha diritto ad una retribuzione maggiorata del 15% calcolata sulla retribuzione oraria globale di fatto comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti indiretti e differiti.
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