Che il Tfr in busta paga non avrebbe avuto un risvolto positivo da parte dei lavoratori, era cosa certa per i Consulenti del Lavoro ancor prima che il Dpcm di attuazione (n. 29 del 20 febbraio 2015) entrasse in vigore il 3 aprile scorso. Ma un così scarso utilizzo forse non se lo aspettavano neanche loro. Infatti, su un campione di un milione di dipendenti (esattamente 1.012.740), l’opzione di far confluire parte del proprio Tfr mensilmente in busta paga è stata effettuata solo da 8.420 lavoratori, ossia lo 0,83%. Il risultato conferma l’andamento dei primi mesi dove la percentuale si è attestata costantemente sotto l’1% dei lavoratori dipendenti in Italia.
Al contrario volano le richieste di anticipazione del TFR con il “vecchio metodo” che segnano un +27% nei primi 8 mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
A rilevarlo è l’Osservatorio della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, che nei giorni scorsi ha elaborato gli stipendi relativi al mese di agosto 2015, che interessano circa 7 milioni di dipendenti e oltre un milione di lavoratori del mese di maggio 2015.
Tfr in busta paga – L’erogazione del Tfr in busta paga è disciplinato dal DPCM 20 febbraio 2015, n. 29, che attua quanto previsto all’art. 1, c. 26-34 dalla Legge di Stabilità 2015 (L. n. 190/2014). Tale norma, accanto alla possibilità di poter destinare il TFR in un fondo di previdenza complementare oppure mantenerlo semplicemente in azienda per fruirne in caso di interruzione del rapporto di lavoro, concede la facoltà di poter anticipare il proprio trattamento di fine rapporto mensilmente in busta paga.
La misura, introdotta in via sperimentale, è operativa dal 3 aprile 2015 (data di entrata in vigore del Dpcm n. 29/2015) fino al 30 giugno 2018 (con prima liquidazione prevista per il mese di maggio 2015). Mentre il TFR maturando, cioè quello che va in busta paga, dipende dal momento in cui si fa la scelta. Quindi, niente da fare per il TFR maturato prima del mese di maggio 2015, il quale non potrà essere monetizzato e dovrà essere lasciato in azienda oppure destinato in un fondo di previdenza complementare.
Altro fattore da tenere in considerazione riguarda l’irrevocabilità della scelta; infatti, se effettuata, resterà operativa fino al 30 giugno 2018.
I motivi – Com’era stato ampiamente prospettato, il motivo di questo insuccesso è legato principalmente alla tassazione che si applica alla somma anticipata, cioè quella ordinaria anziché separata, trovandosi così nell’assurda situazione di dover pagare tasse maggiori su trattamenti economici che spettano di diritto al lavoratore. Infatti: il 62% dei lavoratori oggetti dell’indagine ritengono che la tassazione ordinaria sia troppo penalizzante; il 12% pensa di creare un danno al proprio trattamento pensionistico togliendo il Tfr dal fondo pensione; ma c’è anche un buon 25% che non ha ancora valutato correttamente.
Rispetto all’indagine precedente diventa evidente il motivo di disinteresse dei lavoratori (dal 38% al 62%), circoscritto sostanzialmente al regime fiscale penalizzante stabilito dalla legge e diminuiscono gli incerti (dal 42% al 25%).
Richieste di anticipazione – Premesso che allo stato attuale le famiglie hanno comunque bisogno di liquidità derivante dalla crisi economica e dalle difficoltà di accedere al credito bancario, e attestata l’eccessiva onerosità del regime fiscale introdotto dall’ultima Legge di Stabilità, il risvolto della medaglia è molto facile da comprendere. Infatti, si è verificato un aumento significativo delle richieste di anticipazione del TFR accantonato in azienda o nei fondi pensione. Tale strumento, in particolare, consente da un lato di monetizzare comunque parte del TFR, e dall'altro di conservare il regime fiscale più favorevole (tassazione separata).
A confermarlo sono i numeri. Dall’indagine svolta nei primi 8 mesi del 2015 è emerso che il numero delle richieste rispetto allo stesso periodo dello scorso anno è aumentato del 26,6% con 53.904 domande in più, passando da 202.140 richieste nel periodo 2014, a 256.044 per lo stesso periodo del 2015 (comprensivo delle quote richieste in anticipo ai fondi pensione).
Si ricorda che l’anticipo del TFR previsto dal codice civile è ammesso nella misura massima del 70% dell’importo maturato in azienda da parte del lavoratore. Il datore di lavoro si può riservare di erogare annualmente anticipi nella misura massima del 10% dei dipendenti che ne fanno richiesta, numero che non deve superare il 4% dei dipendenti totali, questo per evitare di privare le imprese dell’autofinanziamento. Nel corso del rapporto di lavoro, l’anticipazione si può ottenere soltanto una volta e può essere richiesta dal lavoratore che abbia maturato almeno otto anni di servizio con lo stesso datore di lavoro.
Le motivazioni, tra le altre, sono: spese mediche per terapie, interventi etc., acquisto o costruzione della prima casa per sé o per i figli, ristrutturazione straordinaria della casa di proprietà.
Secondo il Presidente della Fondazione Studi CdL, Rosario De Luca "l'aumento delle richieste deriva anche dal fatto che è comunque consentito – al di là delle condizioni di legge - al lavoratore e al datore di lavoro trovare un accordo tramite il quale superare i vincoli sopra indicati ed erogare quindi il TFR in anticipo".
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