Malgrado sia iniziato da pochi giorni, il 2024 ha già una certezza: sarà l’anno record delle consultazioni elettorali. Poco più della metà della popolazione mondiale, per l’esattezza il 51%, sarà chiamata alle urne in 76 Paesi diversi, fra cui alcuni dei più popolosi al mondo come India, Stati Uniti, Bangladesh, Brasile, Messico, Pakistan, Indonesia e una ventina di Paesi africani, per un totale di 4 miliardi di persone al voto.
Anche se secondo un’analisi dell’Economist dei dati del “Democracy Index”, in 43 Paesi difficilmente la tornata elettorale potrà cambiare qualcosa. Come sottolinea il quotidiano economico inglese, “nel 2024 voterà un numero maggiore di persone rispetto a qualsiasi altro anno in precedenza, ma questa grande marcia verso le urne non significa necessariamente un’esplosione della democrazia”.
Il riferimento principale è a regimi autoritari come quelli che scandiscono la vita in Bangladesh, Pakistan, Iran e Russia, dove i risultati appaiono già scontati e l’appuntamento alle urne è più che altro un proforma per mettere a tacere la curiosità del resto del mondo e anzi, mostrare con la forza dei numeri quanto chi è al potere sia legittimato dal popolo. Non è un segreto che in almeno la metà dei Paesi chiamati al voto le elezioni non sono né libere né tantomeno regolari, e molti dei prerequisiti alla democrazia come la libertà di parola sono assenti o del tutto negati.
Per chi ama le cifre, sono chiamati al voto gli elettori di oltre 20 Paesi nell’Europa allargata, 16 in Africa, 11 in America, 11 in Asia e 4 in Oceania. Nella maggior parte dei casi si tratta di elezioni generali, per rinnovare le assemblee legislative o presidenziali, oppure entrambi, ma molte sono anche le elezioni locali come nel caso di Austria, Germania, Irlanda, Turchia, Brasile, Canada e India.
I primi chiamati alle urne, sabato 13 gennaio, sono stati gli elettori di Taiwan, l’isola su cui Pechino accampa la sovranità scontrandosi con il fermo no degli Stati Uniti. a trionfare nella prima tornata del 2024 con il 40% delle preferenze è stato Lai Ching-te, leader del DPP (Partito Progressista Democratico), personaggio da sempre assai critico verso la Cina.
Il 4 febbraio sarà la volta di El Salvador, dove il presidente uscente Nayib Bukele, primo al mondo ad adottare ufficialmente i bitcoin, ha ottenuto la possibilità di ricandidarsi nonostante un divieto costituzionale scavallato grazie ad una norma ad hoc.
Pochi giorni dopo, il 25 febbraio, un altro passaggio delicato: le presidenziali in Bielorussia, dove la rielezione di Aleksandr Lukashenko è scontata.
Il 1° marzo si vota in Iran, e anche in questo caso è difficile aspettarsi un cambio di rotta, con la piena conferma di Ebrahim Raisi, malgrado le proteste contro il regime culminate con oltre 20mila arresti e almeno 500 morti.
Occhi puntati sulla Russia il 17 marzo per le presidenziali, dove non è minimamente in dubbio la rielezione di Vladimir Putin, lo “Zar” al potere dal 1999, che messi a tacere oppositori, mezzi di comunicazione e i possibili antagonisti, veleggia tranquillo grazie alla riforma costituzionale che gli consente altri due mandati di sei anni ciascuno.
Fra aprile e maggio va alle urne l’India, in quello che è considerato un colossale esercizio di democrazia con 1,4 miliardi di persone chiamate alle urne per decidere se a guidare il Paese nei prossimi cinque anni sarà ancora il premier uscente Narendra Modi, forte di un ampio consenso popolare.
Epocale anche l’appuntamento del 2 giugno per i messicani: a sostituire il premier uscente Lopez Abrador sarà la vincitrice di una sfida che per la prima volta vede una di fronte all’altra due donne, Claudia Sheinbaum, ex sindaco di Città del Messico, e Xochtil Galvez, attivista per i diritti delle comunità indigene.
Fra il 6 ed il 9 giugno tocca a noi, intesi come i cittadini europei: i 27 paesi membri dell’UE sono chiamati alle urne per eleggere i 720 rappresentanti che entreranno nell’Europarlamento. In gioco il secondo mandato della presidente in carica, Ursula Von Der Leyen.
A chiudere l’anno in bellezza, si fa per dire, ci pensano le presidenziali americane del 5 novembre. Al momento, la sfida sembra restringersi ai soliti due candidati, entrambi poco graditi secondo i sondaggi: da una parte il dem Joe Biden, considerato troppo vecchio per reggere altri 4 anni, dall’altra il repubblicano “fai da te” Donald Trump, valutato come troppo “sporco” per guadagnarsi un secondo mandato.