Come se ancora non bastassero l’infinita guerra in Ucraina e quella Mediorientale, al momento ben lontana da qualsiasi ipotesi di pace, a complicare le cose è piombata sulle economie mondiali la crisi del Mar Rosso, di fatto un allargamento del conflitto fra Israele e Hamas. Una nuova fonte di preoccupazione internazionale che al pari di tutti i conflitti che si rispettino finisce per avere ripercussioni pesanti sui portafogli delle famiglie.
Gli assalti alle navi mercantili delle milizie Houti, un gruppo ribelle yemenita sostenuto dall’Iran, seguiti dai raid aerei di risposta inglesi e americane, di fatto hanno aperto un altro fronte di tensioni in un’area delicatissima per i commerci che comprende il Mar Rosso e il Canale di Suez, rotte fondamentali per le compagnie mercantili che fanno rotta sui porti del Mediterraneo dove transita il 12% del commercio globale e il 40% dell’import-export italiano, calcolato in 154 miliardi di euro fra macchinari, automobili, moda e alimentare.
L’alternativa per evitare le coste dello Yemen, su cui sempre più enormi navi container stanno ripiegando, è la circumnavigazione dell’Africa, attraverso il Capo di Buona Speranza, che significa fra i 12 ed i 15 giorni e quasi 6000 km di navigazione in più, con un evidente aumento di tempi di consegna e soprattutto un aggravio dei costi. Secondo le stime del “WCI” (World Container Index), dall’inizio di dicembre le tariffe delle compagnie si sono praticamente triplicate, arrivando a toccare sulla tratta Shangai-Genova i 5.213 dollari contro i 1.373 di prima. Lo stesso vale per le navi dirette a Rotterdam, dove da 1.171 dollari si è passati a 4.406.
E se il rischio di crisi degli approvvigionamenti di petrolio pare scongiurato per via di una minore dipendenza dell’Europa dai Paesi Arabi rispetto al passato, lo stesso non si può dire sulle quotazioni del greggio, come dimostrato dal Brent che malgrado una netta tendenza alla discesa la scorsa settimana sulla piazza di Londra ha superato di poco la quota psicologica degli 80 dollari a barile. Se la salita continuasse, ammoniscono gli esperti, l’aumento di benzina e gasolio vanificherebbe di colpo il calo dell’inflazione su cui i Paesi UE hanno lavorato sodo negli ultimi mesi. Il rischio tangibile, insomma, è dell’ennesimo scenario simile al post-Covid, con la ripartenza del mondo rallentata dalla Cina, che aveva causato mesi di ritardo sulle forniture industriali.
Ma il domino delle conseguenze e dei rischi di approvvigionamento si allarga di ora in ora, come suggerisce la freschissima decisione del Qatar di sospendere l’invio delle petroliere che trasportano GPL attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb dopo il blocco di cinque navi.
Il nuovo fronte di crisi internazionale ha fra le prime vittime eccellenti il mondo dell’automotive, con i marchi Volvo e Tesla costretti ad annunciare la temporanea sospensione della produzione per mancanza di componenti attesi dall’Asia. Non sono da meno il colosso “Ikea”, che ha annunciato la possibile carenza di alcuni prodotti dagli scaffali dei propri punti vendita, mentre il marchio americano “Abercrombie & Fitch” starebbe valutando di virare verso il più sicuro trasporto aereo, eventualità a cui si starebbe preparando anche il gruppo francese lattiero-caseario “Danone” se la situazione sul Mar Rosso si prolungasse per più di un paio di mesi. Ma il rischio, secondo “Bloomberg”, toccherà presto tutto il settore del fast-fashion, la moda usa e getta amata dalle generazioni più giovani e resa popolare dai prezzi contenuti per via della produzione, concentrata su Paesi come Vietnam, India e Bangladesh, dove la mano d’opera è basso costo.
Il rammarico di imprenditori e industriali è corale: il 2023 era partito tutto sommato bene, con la Sace (Servizi Assicurativi e Finanziari per le Imprese) che prevedeva per il nuovo anno un export record di 660 miliardi di euro e una crescista assestata sul +7%. Significava uno sforzo di resilienza premiato riassorbendo gli effetti negativi dell’inflazione pur mantenendo ferma la posizione sui mercati esteri della filiera Made in Italy. Poi è arrivato il rallentamento dell’economia, iniziando dalla Germania, che ha contagiato il resto dell’Europa.
Per difendere la libertà di navigazione in acque internazionali e gli interessi basati al commercio, l’Italia ha schierato due fregate (la Fasan e la Martinengo) autorizzate a rispondere per autodifesa o a protezione dei mercantili in transito sulla rotta Mar Rosso-Canale di Suez, ma si alza di tono la richiesta di una missione navale congiunta UE.
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